Totò Biografia:   Il nastro d'argento

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Nel febbraio del ‘52 Totò resta colpito dall’immagine di Franca Faldini che appare sulla copertina del settimanale «Oggi».

Le manda subito un grande mazzo di rose con un biglietto «Guardandola sulla copertina di “Oggi” mi sono sentito sbottare in cuore la primavera».

 

Poi le telefona per invitarla a cena. La bella ragazza dai lunghi capelli neri e dagli occhi blu ha appena ventun’anni ma è già tornata dagli Stati Uniti dove, scritturata dalla Paramount, ha preso parte al film Attente ai marinai! al fianco di Dean Martin e Jerry Lewis.

 

Gli risponde che accetterà solo se lui farà in modo di farsi presentare.

E così che pochi giorni dopo, a una cena in casa di una contessa, Franca si trova seduta accanto a Totò. Da quel giorno si incontrano quasi quotidianamente e il 15 marzo Totò indice una conferenza stampa nel suo appartamento di viale Bruno Buozzi 64 per annunciare ai giornali il suo fidanzamento con Franca Faldini.

 

La loro storia d’amore, che dura quindici anni fino alla morte dell’attore, non approderà mai al matrimonio, anche se Totò è ormai libero, forse per la grande differenza d’età — Totò ha allora cinquantaquattro anni, trentatré più di Franca — o forse perché entrambi non ne sentono il bisogno.

Lei non torna più in America dove avrebbe dovuto interpretare un secondo film.

 

L’intervento dell’avvocato di Totò farà risolvere il contratto senza nessuno strascico. Nello stesso periodo il principe collabora a Siamo uomini o caporali?, la sua biografia curata da Alessandro Ferraù ed Eduardo Passarelli per l’editore Capriotti, in cui rievoca gli anni del suo lungo apprendistato.

 

Nella galleria dei personaggi interpretati dal grande attore, un posto a sé spetta al ladruncolo di Guardie e ladri, il bonario Ferdinando Esposito che vive di espedienti e di piccoli furti all’ombra degli antichi monumenti, tra le misere casupole fradice di pioggia delle borgate romane, con le strade piene di pozzanghere.

 

 

Fingendosi una guida con tanto di divisa, rifila la solita patacca a un turista italo-americano con l’aiuto di un paio di piccoli furfanti suoi amici.

 

 

 

 

Sperano di non rivederlo più, ma il turista è un pezzo grosso del comitato incaricato di distribuire i pacchi-dono americani alle famiglie bisognose e se lo trovano lì davanti quando, con in braccio dei bambini “presi a prestito” e spacciati come propri, fanno la fila per conquistarsi il pacco.

Il turista è furibondo e pretende che sia fatta giustizia.

Il corpulento sergente Bottoni cattura Ferdinando ma questi, con un abile stratagemma, riesce a sfuggirgli. Le proteste dell’italo- americano fanno sì che il sergente venga sospeso dal servizio con la minaccia di perdere il posto se entro tre mesi non riacciufferà il truffatore.

 

Guardie e ladriScoperto l’indirizzo del ladro, il sergente ne avvicina la famiglia e fa in modo che suo figlio stringa amicizia con il figlio del disgraziato. Quando le due famiglie si sono conosciute e si è approfondito il rapporto tra Bottoni ed Esposito, il sergente non vorrebbe più arrestarlo. Ma sarà lo stesso ladro a trascinarlo verso la questura per farsi arrestare.

 

 

Il sergente, riammesso in servizio, si occuperà della famiglia del ladro.

 

L’interpretazione dell’umanissimo personaggio vale a Totò il Nastro d’argento come migliore attore protagonista dell’anno, uno dei premi più importanti nell’ambito del cinema italiano assegnato dal Sindacato nazionale giornalisti cinematografici.

 

 

Il riconoscimento consacra il grande successo che in quegli anni l’attore continua ad avere con una pioggia di film nei quali le qualità di una maschera straordinaria riescono a imporsi sull’approssimazione e sulla fretta dell’insieme, e lo risarcisce almeno in parte della lamentosa penalizzazione della critica che a ogni nuova pellicola sottolinea la ripetitività delle trovate e l’inconsistenza del disegno drammaturgico.

 

 

 

 

 

Il personaggio del piccolo ladro, il clima di calda umanità degli interni familiari, la stessa contrapposizione tra ladro e poliziotto sembrano altrettante risposte ai critici che finalmente, dopo tante intemperanze, apprezzano la felicissima scena iniziale in cui tra i ruderi e le rovine si rinnova l’antico gioco della miseria e della furberia, e poi il lungo inseguimento punteggiato di soste in cui il ladro e la guardia si fermano ansanti a pochi passi di distanza per riprendere fiato, stabilendo un primo contatto proprio attraverso le magagne dell’età, i problemi del lavoro, le vicende della vita che è stata per entrambi dura e impietosa.

 

 

Clip: Totò spiega il declino del cinema comico dur. 4:48

Nella comicità di Totò si sono sempre alternate le sottolineature surreali, i guizzi sopra le righe come i riferimenti realistici, gli spunti di attualità, gli umori sarcastici.

 

Steno e Monicelli, che nel ‘51 realizzano Guardie e ladri sulla base di una sceneggiatura scritta con Vitaliano Brancati, Ennio Flaiano, Aldo Fabrizi e Ruggero Maccari, hanno usato entrambi i registri, quello surreale e quello realistico,nei numerosi altri film che hanno fatto con il comico napoletano, ciascuno per proprio conto o in coppia.

 

 

Si pensi a Totò cerca casa del ‘49, ispirato alla crisi degli alloggi di grande attualità negli anni del dopoguerra ma pieno di citazioni della buffoneria surrealistica delle “torte in faccia”;

 

oppure a Totò e i re di Roma del ‘52, che rivisita con umori acri e grottesche sottolineature l’universo ministeriale degli impiegati, dei capi ufficio, degli scatti di stipendio in un clima mortificante e jettatorio da “gli esami non finiscono mai”, o ancora a Totò e le donne, dello stesso anno, che cuce insieme una serie di siparietti sull’eterno femminino, chiamati a confermare le teorie misogine del cavalier Scaparro, il quale, esasperato dalle imposizioni di una moglie invadente e bisbetica, cerca rifugio in soffitta dove può fumare, leggere i gialli, rivolgere preghiere propiziatorie al tabernacolo che ha eretto all’immagine di Landru.

 

 

 

 

 

 

Quando la coppia si separa, Steno e Monicelli realizzano, ciascuno per proprio conto, numerosi altri film con Totò, accentuando l’una o l’altra delle costanti del grande comico.

 

Steno puntando soprattutto sulla componente surreale imparentata con le origini teatrali, Monicelli proseguendo nella umanizzazione del personaggio avviata con i film precedenti, più legati agli spunti d’attualità e alla verosimiglianza delle situazioni.

 

Totò a coloriIl risultato più alto raggiunto da Steno è senz’altro Totò a colori del ‘52, singolare summa dei grandi sketch teatrali, dal vagone letto agli snob di Capri, dall’eccezionale Pinocchio al gran finale del direttore d’orchestra.

 

 

Ma andrebbero ricordati anche gli altri titoli degli anni successivi. A iniziare da L’uomo, la bestia e la virtù del ‘53 da Pirandello, con uno spaesato Orson Welles; Totò nella luna del ‘58 con Ugo Tognazzi; Totò, Eva e il pennello proibito del ‘59 con Abbe Lane e Mario Carotenuto; I tartassati del ‘59 con Aldo Fabrizi; Letto a tre piazze del ‘60 con Peppino De Filippo e Nadia Gray;

 

 

Totò Diabolicus del ‘62 in cui il grande comico impersona contemporaneamente il marchese Galeazzo di Torrealta, il monsignor Antonino, il generale Scipione, il professor Carlo, la baronessa Laudomia e il poveraccio Pasquale Buonocore;

 

I due colonnelli del ‘62 con Walter Pidgeon nel ruolo di un colonnello inglese che solidarizza con il colonnello italiano durante le traversie della seconda guerra mondiale; Totò contro i quattro del ‘63 con Aldo Fabrizi, Nino Taranto, Peppino De Filippo e Macario, una farsesca rimpatriata di vecchie glorie con Toiò nei panni di uno scatenato commissario. Mario Monicelli — nel quale è esplicita la contiguità con il Totò in qualche modo neorealista inventato da Giuseppe Amato, Eduardo De Filippo, Roberto Rossellini, Vittorio De Sica per Yvonne la Nuit, Napoli milionaria, Dov’è la libertà? e L’oro di Napoli — ha tentato di accentuare la sterzata realistica del nuovo Totò con Totò e Carolina del ‘53 ma uscito solo un paio di anni dopo per i pesanti e gratuiti interventi della censura, prima di traghettare il grande comico nello scenario, in corso di definizione, della commedia all’italiana con lo straordinario I soliti ignoti del ‘58 e il diseguale ma interessante Risate di gioia del ‘60.

 

 

 

Nel primo Totò disegna in modo impareggiabile il ritrattino di Dante Cruciani, un sorvegliato che sa tutto sui grimaldelli e sulle casseforti e dà lezioni di storia e tecnica dello scasso scientifico nelle ore che la quotidiana visita del commissario gli lascia libere.

 

La scena in cui Totò, in vestaglia, cappello e sciarpa, spiega le tecniche infallibili del colpo sicuro agli allibiti Marcello Mastroianni, Renato Salvatori, Vittorio Gassman e Capannelle nella terrazza di casa, tra i panni stesi ad asciugare, è assolutamente memorabile e vale come un omaggio al grande protagonista del cinema comico nel momento d’avvio della commedia italiana, con i suoi retrogusti amari e le sue grottesche sottolineature.

 

 

 

Risate di gioiaRisate di gioia, anche se è un tentativo solo in parte riuscito, ha nella biografia artistica del principe un valore del tutto particolare perché segna l’occasione per incontrare sullo schermo Anna Magnani, con cui ha fatto coppia in palcoscenico in alcune delle più acclamate riviste di Galdieri.

 

Totò e Anna danno vita a una singolare coppia di perdenti, formata da Tortorella, una generica di Cinecittà, e dal vecchio guitto Umberto, che nella festa di fine anno a un certo punto accennano un duetto, una patetica filastrocca che ha il sapore del tempo che fu.

 

Nel film Anna è stata invitata a una cena solo per coprire il quattordicesimo posto a tavola. Quando lo scopre se ne va amareggiata.

 

L’incontro con Totò non poteva nascere da premesse migliori. Totò è infatti molto superstizioso e odia in particolare il tredici, che nella classica “smorfia” significa la morte, Sant’Antonio da Padova, il principe. Ce l’ha anche un po’ con il suo santo che si festeggia proprio il 13 giugno. Altre sue fobie sono il colore viola e lo jettatore che, secondo la tradizione popolare, bisogna individuare a colpo sicuro per neutralizzarlo.

Totò riesce a individuarlo dagli occhi all’ingiù, il naso che si volge verso la bocca e un sorriso mellifluo. L’unica tattica, secondo lui, è essere cortesi, non irritarlo e non dargli modo di esercitare il suo potere.

 

L’episodio più divertente a proposito della sua fobia per il tredici accade nel 1945 quando, con Castellani, va a Parigi per vedere il balletto delle Bluebell su invito di Remigio Paone, per decidere se è il caso di scritturarle per una delle sue riviste.

 

A Totò è stato riservato il letto numero tredici.

 

Per non farlo accorgere, Castellani chiede all’inserviente di togliere il numero dalla porta. La mattina dopo il loro arrivo Totò non si sente bene e infatti ha qualche linea di febbre.

Spaventatissimo, decide di ripartire subito perché vuole morire nel suo letto a Roma.

E quando finalmente è di nuovo sul treno che lo riporta in patria, confessa di essersi accorto che il letto portava il numero tredici ed è convinto che, anche se lui ha fatto finta di niente, quel numero “fetentone” si sia vendicato a modo suo.

"Il principe Totò" Orio Caldiron (Gremese editore)

 

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