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Film in B/N dur. 96 min. - Incasso lire 416.000.000 (valore attuale € 7.747.933,88) Spettatori 2.230.000 Video-clip 36 sec. "Totò Diabolicus" 1962 di Steno. Soggetto Vittorio Metz, Roberto Gianviti. Sceneggiatura Vittorio Metz, Roberto Gianviti, Marcello Fondato, Bruno Corbucci, Giovanni Grimaldi. Produttore Gianni Buffardi, Titanus. Direttore della fotografia Enzo Barboni, Musiche Piero Piccioni, Montaggio Giuliana Attenni, Sceneggiatore Giorgio Giovannini, Direttore di produzione Egidio Quarantotto e Giancarlo Sambucini, Aiuto regista Mariano Laurenti. Interpreti: Totò (Galeazzo de Campo/monsignor Antonio/generale Scipione/prof. Carlo/Baronessa Laudomia/Pasquale Bonocore), Beatrice Altariba (Diana), Raimondo Vianello (Lallo), Mario Castellani (ispettore), Nadine Sanders (Donna Fiore), Luigi Pavese (commissario), Pietro De Vico (un paziente), Peppino De Martino (il notaio), Giulio Marchetti (investigatore privato), Franco Giacobini (un medico), Mimmo Poli (il postino), Paolo Ferrara (direttore del carcere), Gianni Baghino (Gigi lo sfregiato), Antonio La Raina (aiuto di Scipione), Consalvo Dell'Arti (maggiordomo), Steno (il giardiniere). Trama: Un ricco nobile viene assassinato e sul suo corpo l'assassino lascia la sua firma "Diabolicus". Vengono sospettati i quattro fratelli eredi, ma uno di loro monsignor Antonino ha un alibi di ferro. Subito dopo gli altri tre fratelli sono assassinati e si sospetta del monsignore. Ma si scopre che l'assassino è Galeazzo (presunto morto) che rovinato dai debiti aveva ucciso in precedenza il monsignore e ne aveva preso il posto. |
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Critica: Il regista Steno interpreta un piccolo ruolo come giardiniere. La comicità di Totò raggiunge un diapason quando veste i panni della sorella plurivedova, nella sequenza del chirurgo miope che, mentre sta operando, perde gli occhiali. Totò è molto bravo nel caratterizzare il copione e gli offre scarsissime possibilità di andare al di la di una esteriore caricatura. Il Messaggero, Roma 7 aprile 1962. Il film vuole essere una esplicita parodia sia del genere giallo-poliziesco sia dei fumetti a sfondo violento, quali appunto "Diabolicus", "Satanik", "Sadik" ecc. che ebbero all'inizio degli anni '60 una diffusione molto elevata, soprattutto tra i giovani. La stessa satira la ritroviamo, per esempio, nell'ultimo film interpretato da de Curtis nel 1967, "Capriccio all'italiana", nell'episodio di Mario Monicelli intitolato "La bambinaia", dove una governante tedesca (Silvana Mangano), indispettita dal fatto che un gruppo di bambini legge con indifferenza quel tipo di fumetti, si mette a raccontare alcune fiabe di Perrault, esasperandone volutamente gli aspetti più macabri fino a farli piangere disperati. Tuttavia oltre alla parodia del giallo-poliziesco, già realizzata in opere precedenti, quali "Le sei mogli di Barbablù", "I tre ladri", "I ladri" e "Noi duri", il film riprende il genere farsesco basato sul travestimento, come era già stato "Totò terzo uomo", "Il più comico spettacolo del mondo", "Miseria e nobiltà" e, con grandissimo successo di pubblico, il più recente "Tototruffa '62", dando la possibilità a Totò di interpretare più ruoli, tutti fortemente tipizzati e di esilarante effetto comico e di sfoggiare ancora una volta la sua abilità recitativa attraverso scenette separate dall'intreccio e di forte sapore rivistaiolo.
Nella cornice poliziesca, ben impersonata dalla coppia Pavese-Castellani, Totò recita in ben sei ruoli differenti, spesso in contemporanea, corrispondenti a sei personaggi diversi, tutti fratelli: il marchese Galeazzo del Campo, una donna con manie omicide (Laudòmia), un vecchio generale fascista (Scipione), convinto di vivere ancora nel 1943, un noto chirurgo (professor Carlo), un monsignore (Antonino) e un povero diavolo, fratellastro dei cinque (Pasquale Bonocore).
Nel ruolo del monsignore, de Curtis è doppiato da Renato Turi, mentre la voce di Laudòmia è alterata in forma caricaturale e quella di Galeazzo è la stessa del barone Zazà in "Signori si nasce". Insomma un'antologia di sketches, per la verità tutti di gradevole composizione, per lasciare Totò libero di tornare al vecchio repertorio del teatro di rivista e prima maniera come nella scena con il notaio (il bravo e onnipresente Peppino De Martino) che ricorda persino il Totò de "I due orfanelli".
La presenza di Metz nella sceneggiatura ha determinato non pochi sfondamenti della barriera del realismo minimo, ma il film, considerato come una garbata parodia, risulta ugualmente gustoso e gradevole, anche nelle scene "assurde", come le varie mascherate di Galeazzo o la stessa operazione chirurgica, che sfocia addirittura nel surreale. La chiusura del film, con Totò ormai ricco sfondato, è un topos che ritroviamo non solo nei suoi primissimi film, quali "Fermo con le mani" e "L'allegro fantasma", ma anche nel recente "Tototruffa '62". Tratto da "Totò principe clown" di Ennio Bìspuri per gentile concessione
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