Totò Biografia:   Non ci vedo

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Antonio De Curtis, sereno per l’armonia familiare con Franca Faldini, non ha però le soddisfazioni che desidererebbe nella musica, che è sempre stata una delle grandi passioni della sua vita.

 

Scrive infatti canzoni, o meglio poesie che poi diventano canzoni, e frequenta gli ambienti musicali ma senza grande successo, anche se i suoi versi sono interpretati da cantanti quali Achille Togliani e Nilla Pizzi, che incide Aggio perduto ‘ammore.

 

 

Nel ‘54 partecipa al Festival di Sanremo con la canzone Con te, scritta per Franca Faldini.

 

La interpretano da un lato Achille Togliani e Katina Ranieri con l’orchestra Angelini e dall’altro Flo Sandon’s e Natalino Otto con l’orchestra Semprini.

Ma la canzone si classifica solo al quarto posto. L’ammore avess’a essere vince invece al Festival di Zurigo nel settembre del ‘62, cantata da Tullio Pane sulle parole di una dolce poesia di Totò: «L’ammore avess’a ‘essere / ‘na cosa fatta ‘e zucchero / ‘na cosa doce e semplice / tutta sincerità...».

 

L’attore scrive anche una canzone in francese intitolata Le Lavandou (mp3), dal piccolo paese vicino a Saint-Tropez dove passa le vacanze con Franca, canzone interpretata da Achille Togliani.

 

 

 

Il 12 ottobre del ‘54 in una clinica di Roma, Franca dà alla luce il figlio di Totò, Massenzio. Il bambino, nato di otto mesi, purtroppo muore poche ore dopo e sarà sepolto nella cappella De Curtis al Pianto di Napoli.

 

Tra il ‘35 e il ‘56 Totò interpreta ben nove film e alla fine dell’anno, il 10 dicembre, debutta al teatro Sistina di Roma con A prescindere, la rivista di Nelli e Mangini destinata a diventare il definitivo addio al teatro del comico. Lo spettacolo viene portato in tourneè in Italia.

 

In febbraio, mentre recita al teatro Nuovo di Milano, Totò viene colpito da una broncopolmonite virale. Nonostante il parere dei medici che gli prescrivono una lunga convalescenza, il 23 febbraio è di nuovo in teatro.

 

 

 

Totò nella sua casa ai Parioli (Roma)Mentre il 3 maggio è sul palcoscenico del Politeama Garibaldi di Palermo e sta interpretando lo sketch di Napoleone si avvicina a Franca — che quella sera recita per sostituire Franca May che si è fratturata un ginocchio — e le sussurra che non ci vede più. Tre giorni dopo è costretto a sospendere lo spettacolo.

 

 

Gli viene diagnosticata una coriotenite emorragica essudivante acuta all’occhio destro, il solo con cui vede perché all’altro ha avuto vent’anni prima un distacco di retina traumatico per cui è stato operato con esito negativo.

 

Tornato a Roma, viene sottoposto a visita fiscale su richiesta dell’impresario Remigio Paone, danneggiato dall’interruzione della tournée. Per oltre un anno Totò rimane completamente cieco e anche dopo, riassorbita l’emorragia, non riuscirà più a riacquistare integralmente la vista all’occhio destro.

 

Semicieco, ritorna sul set dove interpreta un gran numero di film anche per fronteggiare il debito fiscale di qualche centinaio di milioni che gli viene notificato dopo l’avvento della riforma Vanoni, e a causa del quale è costretto a svendere molte delle sue proprietà.

 

Nonostante il costante successo dei suoi film, i cachet di Totò sono sempre stati e continueranno a essere anche negli anni seguenti particolarmente modesti.

 

 

Totò e Franca Faldini

Nel ‘58 gli viene assegnato il Microfono d’argento.

L’anno successivo soggiorna per qualche tempo a Lugano, meditando per motivi fiscali di trasferirvisi definitivamente. Nel novembre gli viene assegnata dall’Anica una targa d’oro in riconoscimento della sua lunga carriera artistica e del suo contributo al cinema italiano.

 

Nel dicembre si dimette polemicamente dalla commissione selezionatrice del Festival di Sanremo, perché è stata esclusa la canzone di un autore napoletano che gli è particolarmente cara.

 

Nel 1960 va ad abitare con Franca Faldini in un appartamento in affitto di via Monti Parioli 4.

 

Da anni gli sono accanto il cugino Eduardo Clemente, figlio del fratello prediletto di sua madre, che gli fa da segretario e factotum, e il suo autista Carlo Cafiero con cui di solito si reca sui set.

 

 

Per tutta la vita Totò ha compiuto piccoli e grandi gesti di generosità, e con l’avanzare dell’età si dedica sempre più attivamente a numerose opere di beneficenza, aiutando ospizi e brefotrofi, elargendo somme anche rilevanti alle associazioni che si occupano degli ex carcerati e delle famiglie dei reclusi.

 

 

Per raccogliere cani randagi e sfortunati fa costruire ”l'ospizio dei trovatelli”, un moderno e attrezzatissimo canile che ogni tanto va a visitare e che gli costa quarantacinque milioni.

 

 

 

Isidoro Broggi, Totò ed Eduardo Clemente - 1962 Roma Nel 1964, presso l’editore Fausto Fiorentino di Napoli, pubblica ‘A livella, una straordinaria raccolta di poesie napoletane che è venuto scrivendo negli ultimi decenni.

 

Negli anni Cinquanta si colloca il trittico scarpettiano di Mario MattòliUn turco napoletano del ‘53, Miseria e nobiltà e Il medico dei pazzi del ‘54 — che era stato preceduto un paio di anni prima da Sette ore di guai di Metz e Marchesi, trattò dalla farsa ‘Na creatura sperduta.

 

Se Un turco napoletano e Il medico dei pazzi hanno dei buoni momenti, Miseria e nobiltà è ormai un classico per la felice aderenza con cui ripropone l’alchimia, insieme tragica e buffonesca, del grande testo di Eduardo Scarpetta, che molti considerano una delle vette del teatro comico di tutti i tempi.

 

 

La messa in scena di Mattòli accentua i consueti ingredienti (macchina fissa, mai troppi carrelli, niente audaci escogitazioni tecniche, niente bellurie di regia) nell’intento di suggerire l’antico palcoscenico in cui si svolge la rappresentazione teatrale, che il mezzo cinematografico ha soltanto il compito di riproporre.

 

 

L’uso del colore — quel particolarissimo Ferraniacolor della prima fase del cinema italiano a colori che lo stesso Totò aveva tenuto a battesimo un paio d’anni prima con Totò a colori — sembra sintonizzarsi perfettamente con i tenui cromatismi delle vecchie stampe.

 

 

Totò, che aveva recitato Scarpetta negli anni del suo apprendistato, ha qui l’occasione di indossare i panni di Felice Sciosciammocca, dando vita a un’interpretazione tutt’altro che banale nella quale si avverte la lezione di Pulcinella, l’atavico e incontenibile assillo della fame a cui sin dalle prime sequenze tutto sembra ricondurre.

 

 

 

 

Siamo uomini o caporaliNegli stessi anni sono molti altri i registi che, passandosi il testimone, firmano i moltissimi film che Totò continua a sfornare uno dietro l’altro, come in una catena di montaggio.

 

Scritti da sceneggiatori vecchi e nuovi (a quelli che gli sono stati accanto nelle sue esperienze teatrali, come Mario Mangini, o nelle sue precedenti esperienze cinematografiche, come Metz e Marchesi, Age e Scarpelli, danno il cambio Leo Benvenuti e Piero De Bernardi, Bruno Corbucci e Giovanni Grimaldi), i nuovi film sono diretti da Camillo Mastrocinque, Domenico Paolella, Sergio Corbucci, Fernando Cerchio e altri, tutti sperimentati artigiani che sanno entrare in sintonia con Totò, che è tanto neutrale sul piano estetico quanto suscettibile su quello personale.

 

 

Si può arrivare a sottovalutarlo come attore, ma è impensabile trattarlo con eccessiva familiarità o, peggio, cercare di accorciare le distanze tra il principe e l’attore, due universi paralleli che devono continuare a procedere ognuno per conto proprio.

Camillo Mastrocinque, che aveva già dato prova di affidabilità con il divertente Totò all’inferno, si vede offrire l’occasione di realizzare nel ‘55 Siamo uomini o caporali.

 

 

Il soggetto è dello stesso Totò, che ha sintetizzato la sua nota filosofia di vita, basata sulla distinzione tra uomini e caporali, in una esile storiellina in cui il povero Totò-Esposito, aspirante comparsa a Cinecittà, è perseguitato da Paolo Stoppa, che è di volta in volta il capocomparse, il milite fascista, il direttore del lager, l’ufficiale americano, il direttore del rotocalco, l’industriale, tutti ugualmente odiosi nel prendere di mira il malcapitato.

 

 

La banda degli onestiParticolarmente riuscito è La banda degli onesti del ‘56, scritto da Age e Scarpelli, che pur riprendendo spunti ampiamente collaudati è notevole nel rappresentare i timori e le frustazioni, le impennate e i malumori di un bonario terzetto di apprendisti falsari che sperano nel colpo grosso, continuando a guardarsi attorno con sospetta circospezione tra la portineria del casermone in cui vivono e la modesta tipografia in cui stampano le prime banconote.

 

 

Non sono meno esilaranti Totò lascia o raddoppia? del ‘55, Totò, Peppino e i fuorilegge del ‘56, Totò, Peppino e la... malafemmina dello stesso anno, che, ispirato alla canzone Malafemmena dello stesso Totò, è oggetto di culto tra i totomani, se non altro per una scena in particolare: quella della dettatura della lettera tra i fratelli Caponi, in cui Totò e Peppino toccano vertici altissimi sul piano dei tempi di recitazione e della sintonia scenica, non a caso ripresi nell’omaggio che Massimo Troisi e Roberto Benigni tributano loro nell’analoga scena di Non ci resta che piangere.

 

 

Corbucci contamina rivisitazione storica e commedia amara (I due marescialli), sterza verso il patetico (Lo smemorato di Collegno), ma non smette mai di puntare sulla parodia (Totò, Peppino e... la dolce vita, Chi si ferma è perduto, Il monaco di Monza, Gli onorevoli.

 

Naturalmente si tratta di parodie spudorate, in cui tutto è lecito purché sia ricondotto sul piano della caricatura assoluta, della pura astrazione comica, che fra stravolgimenti linguistici e sbeffeggiamenti surreali si accanisce distruttivamente nei confronti del modello dissolvendolo dall’interno, rendendolo progressivamente irriconoscibile, impraticabile.

 

 

 

 

L’intesa tra il vecchio attore e il giovane regista non poteva essere più perfetta, fatta com’era di grande rispetto e di ammirazione per quel mondo dello spettacolo di una volta, degli sketch e dei doppi sensi mai volgari, che era fondamentale per capire Totò.

Un vero signore che non diceva le parolacce e che, quando nei copioni ce n’era una, si affrettava a toglierla.

"Il principe Totò" Orio Caldiron (Gremese editore)

 

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