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Ma a parte l'artista ricordare l'uomo che era Totò mi riempie di commozione: era veramente un gran signore, generoso, anzi, generosissimo. Arrivava al punto di uscire di casa con un bel po' di soldi in tasca per darli a chi ne aveva bisogno e comunque, a chi glieli chiedeva.
Aveva la mania della nobiltà: il primo giorno che lavorai con lui gli domandai: " Devo chiamarla principe o Totò? " Ci pensò un attimo, poi mi rispose: " Mi chiami Totò ". Ma tutti gli altri dovevano chiamarlo principe, e lui da principe, quei principi di cui leggiamo nelle favole, si comportava con tutti e in ogni suo pur minimo gesto, pensiero, atteggiamento.
Basta vedere il successo che ha avuto con i giovani di oggi, i ragazzi di quindici, diciotto anni che non lo conoscevano. Lui era veramente un clown, un grande clown, nel senso più nobile della parola, come oggi non ne esistono più: certe sue folli improvvisazioni durante la recitazione erano geniali e insostituibili. Clown come lui ne nasce uno ogni cento anni.
Questo anche per un senso di giustizia nei sui confronti, perché ho sempre pensato che avrebbe avuto bisogno di uno sfogo internazionale che non aveva mai avuto. Quando L'oro di Napoli uscì in America il critico del " New York Times " intitolò il suo articolo sul film Perle di recitazione d'Italia e il " pazzariello " Totò fu per tutti una rivelazione. Proprio ne L'oro di Napoli il personaggio di Totò aveva un risvolto drammatico che lui rese benissimo, perché era un attore completo, il più grande a mio parere, che il teatro musicale e il cinema italiano abbia mai avuto.
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