Totò Biografia:   Il burattino al cinema

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Totò nel primo provino cinematografico 1930

Il 1937 è per Totò un anno denso di avvenimenti. Non tutti felici. Nei primi mesi fa il suo debutto nel cinema con Fermo con le mani diretto da Gero Zambuto su un soggetto di Guglielmo Giannini.

 

Non è la prima volta che a Totò viene proposto di passare al cinema.

 

Già alla fine del 1930 Stefano Pittaluga, che ha prodotto con la Cines La canzone dell’amore, il primo film sonoro italiano, pensa di trovare dei volti nuovi da portare sullo schermo.

 

Non gli sfuggono le doti comiche di Totò che vorrebbe utilizzare in un film dal titolo Il ladro disgraziato.

 

Gli fa fare un provino in cui l’attore, con un cerone che nasconde il pallore del viso, si esibisce nell’imitazione della gallina e nella parte di un bambino che dice: «Embè, e vabbè, quando c’è la salute» e poi si interrompe e si chiede: «C’aggia fa’ mo’?», rifacendo dei piccoli frammenti dei suoi sketch più celebri.

 

 

 

Ma un regista ha la malaugurata idea di suggerirgli che dovrebbe imitare Buster Keaton. Al che Totò, andandosene, risponde che lui è Totò e non Buster Keaton.

 

Qualche anno più tardi avrebbe potuto essere Blim, il mendicante suicida che all’inizio di Darò un milione di Mario Carnerini viene salvato dal milionario Gold-Vittorio De Sica.

 

Ma mentre Cesare Zavattini, autore del soggetto e della sceneggiatura, tifa per lui, il regista non se la sente di utilizzare un attore ancora sconosciuto al pubblico cinematografico e gli preferisce Luigi Almirante, un caratterista già molto noto.

 

 

Questa volta a proporgli di passare al cinema è niente meno che Gustavo Lombardo, il padrone della Titanus. Napoletano, marito della celebre attrice “muta” Leda Gys della quale produce i film, ha cominciato la sua attività come distributore di pellicole altrui.

 

Per non parlare poi del numero del direttore d’orchestra che mima i fuochi d’artificio e che è spesso il gran finale delle sue esibizioni teatrali.

 

Il film dà modo a Totò di essere conosciuto da un pubblico diverso e più vasto di quello dell’avanspettacolo, anche se la riproduzione meccanica tarpa un po’ le ali alla sua vena improvvisatrice e alle sue smaglianti doti di imprevedibilità.

 

Sul set manca la vicinanza del pubblico, gli mancano gli applausi che concorrono ad aumentare la sua creatività.

 

La straordinaria ricchezza del Totò del varietà e dell’avanspettacolo è ancora nella memoria e negli occhi degli spettatori per non suggerire un termine di paragone, quasi sempre più scoraggiante che criticamente produttivo quanto a questo primo, incerto tentativo di ambientazione cinematografica di una comicità per molti versi legata al palcoscenico.

 

 

Intanto il suo matrimonio entra in crisi e, alla prima separazione tra il comico e la moglie, la piccola Liliana viene ospitata per un breve periodo nel collegio dell’Assunzione.

Ma la bambina soffre e Totò non lo sopporta.

 

Si riappacifica con Diana e trasferisce la famiglia, a cui si aggiungono anche i suoi genitori, in un appartamento più grande in viale Parioli.

Poi riprende la via dell’avanspettacolo cambiando primadonna, che sarà adesso Clary Sand, e spalla, che sarà Eduardo Passarelli.

 

Fratellastro di Eduardo, Titina e Peppino De Filippo, Passarelli ha svolto un’intensa attività nel teatro dialettale napoletano prima di esordire nel cinema.

 

 

 

 

L'allegro fantasmaSpesso accanto a Totò, interpreta dal ‘37 in poi numerosi film, in cui ha modo di confermare le sue qualità di attore immediato e efficace.

 

Il repertorio della nuova compagnia Totò, che prosegue senza grandi cambiamenti anche nella stagione successiva, alterna come al solito novità e riprese.

 

Il pubblico non si stanca di applaudire Totò e i suoi compagni in Uomini a nolo di Totò e Bel Ami, L’ultimo Tarzan, una fantasia grottesca, Fra moglie e marito la suocera e il dito, Novanta fa la paura di Antonio De Curtis, L'uomo del diamante di Mario Mangini.

Ma l’epoca gloriosa dell’avanspettacolo volge al termine e Totò sa ritirarsi a tempo.

 

Le tournées nei maggiori cinema-teatri della penisola gli hanno assicurato una grande popolarità e hanno fatto di lui una delle figure più amate ed entusiasticamente apprezzate dai pubblici popolari di tutta Italia. Fra lui e la moglie, anche se vivono sotto lo stesso tetto, qualcosa s’è incrinato.

 

Totò è deciso a ritornare scapolo e si accorda con Diana per chiedere l’annullamento del matrimonio. Ma in Italia si è ancora ben lontani dalla possibilità di un divorzio, e così i coniugi De Curtis riescono a chiedere lo scioglimento del loro vincolo solo a Bruenn, in Ungheria.

 

La notizia che la loro richiesta è stata accettata e ha avuto esito positivo li raggiunge a Massaua, in Etiopia, dove sono in tournée insieme alla compagnia con 50 milioni: c’è da impazzire e altre riviste. Il 27 dicembre 1939 l’annullamento è dichiarato esecutivo anche in Italia dalla Corte d’appello di Perugia. Ma in realtà Totò e la moglie restano assieme fino al 1930.

 

 

 

Totò terzo uomoA Totò il vincolo del matrimonio è sempre stato stretto più per l’ufficialità del rapporto che per i doveri che possono conseguirne. Geloso in modo patologico, teme più di ogni altra cosa le cosiddette corna.

Con una donna vicina che diventa inevitabilmente solo un’amante, il tradimento, sempre deprecato, gli sembra meno incombente, meno inevitabile.

Da parte sua la libertà sessuale è una caratteristica che entra nella norma, nelle consuetudini dello stesso costume nazionale.

 

Così come si è sempre sdoppiato in Totò e nel principe Antonio De Curtis — da un lato nella marionetta che fa ridere, che si può permettere qualsiasi libertà, ma che con la sua arte gli permette di vivere, dall’altro nel serio gentiluomo, triste e perbenista —, allo stesso modo ora ha la possibilità, come ex marito, di avere comunque una donna vicina, vicina ad Antonio De Curtis, ma di essere libero come Totò.

 

 

Dopo il primo film Totò, anche se il risultato non l’ha soddisfatto, si dice pronto a ritentare la prova. Lombardo crede ancora in lui e lo affida all’umorista Achille Campanile che, con il regista Carlo Ludovico Bragaglia, darà vita ad Animali pazzi.

Sceneggiatore e regista sembrano più che mai adatti a far risaltare sullo schermo le qualità comiche dell’attore che avevano avuto modo di apprezzare direttamente assistendo ai suoi spettacoli teatrali.

 

Campanile è già allora una delle firme più riconoscibili dell’umorismo italiano che si è venuto affermando nel «Marc’Aurelio» e nel «Bertoldo», attraverso cui passeranno intere generazioni di scrittori e di futuri cineasti, da Steno a Fellini, da Scarpelli a Scola.

 

Le sei mogli di BarbablùLe sue prime commedie assurde e imprevedibili sono state messe in scena dai fratelli Anton Giulio e Carlo Ludovico Bragaglia al Teatro degli Indipendenti dove è approdato il meglio dell’avanguardia italiana e straniera, compresa una mitica messa in scena dell’Opera da tre soldi di Bertolt Brecht.

 

Se i rapporti di Anton Giulio con il cinema, avviati in pieno futurismo, non sono mai stati particolarmente fortunati, Carlo Ludovico, dopo un lungo tirocinio teatrale a fianco del fratello maggiore, si è rivelato nel 1933 un regista più che promettente con O la borsa o la vita, avviando una frenetica attività di regista “velocista” capace di fare in venti giorni di riprese un film tutto intero e di girare in un anno sette film, con la puntualità ferrea ed estrosa del cineasta che non teme le scene di massa e i capricci degli attori.

 

Sensibile alle predilezioni del pubblico e alle esigenze della macchina-cinema, non solo fa economie sulla pellicola in un mondo di spreconi come quello dei cinematografari, ma accetta la sfida delle novità tecnologiche e sperimenta tra i primi il colore.

 

Si mette al servizio di uno stuolo di attori tra cui Vittorio De Sica, Sergio Tofano, Nino Besozzi, Armando Falconi, i De Filippo e Totò, con il quale farà nel dopoguerra alcuni film di grande successo.

 

Animali pazzi subisce molte vicissitudini tanto che, iniziato nel 1938, uscirà nelle sale solo nell’aprile dell’anno dopo. Prima di tutto c’è il problema dei costi che il produttore vuole contenere costringendo Bragaglia a escogitare laboriosi trucchi per poter girare alcune scene, come quella finale del matrimonio che si svolge in un grande salone.

 

 

 

 

Totò diabolicusIl regista aveva chiesto cinquecento comparse ma il produttore gli risponde che non ha i soldi per pagare.

Si accordano su cinquanta. Dal momento che il film è tutto basato sul doppio — Totò interpreta due ruoli, quello di un poveraccio e quello del barone Tolomeo de’ Tolomei — si usa l’espediente tecnico dei mascherini.

 

Così la sala viene riempita con le poche comparse che, con l’aiuto di quattro mascherini, modificando ie posizioni delle persone, cambiando dettagli dei costumi, mettendo il cappello di uno a un altro e così via, pare la riempiano come se fossero una folla di duecento persone.

 

Il film nasce da un’idea fantasiosa e surreale di Campanile che immagina una clinica per animali pazzi e inventa un doppio ruolo per Totò. L’attore d’altra parte ha appena interpretato la rivista Dei due chi sarà? sfruttando proprio la comicità che nasceva dal suo doppio personaggio.

 

Il gioco del doppio che si presta a infinite variazioni verrà riproposto negli anni successivi in moltissimi film, dando vita a una galleria di “doppi Totò”, da L’allegro fantasma a Le sei mogli di Barbablù, da Totò terzo uomo a Totò Diabolicus.

 

Ma sia perché molte trovate devono essere cancellate per mancanza di mezzi, sia perché il tentativo è più ambizioso delle effettive capacità del regista, nemmeno Animali pazzi è un film del tutto riuscito, anche se Totò vi prodiga tutte le risorse della sua marionettistica buffoneria.

 

 

 

Quando fa il burattino sulla terrazza della villa, o tenta di darsi all’ippica a cavallo di una scopa, o finge di essere preso da un attacco di pazzia con la mano che sparisce nella manica, il braccio che gira vorticosamente e ha le convulsioni, o sobbalza alle scariche elettriche dei medici, esprime al massimo la sua vulcanica comicità.

"Il principe Totò" Orio Caldiron (Gremese editore)

 

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