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Mi è rimasta impressa I tre moschettieri, in cui Totò faceva D'Artagnan e usava come spada la stampella per i panni. Nel dopoguerra scrivevo per la radio e per i giornali umoristici, lavoravo in coppia con Steno. Un giorno viene Mattòli, che stava facendo Il fiacre numero 13, e ci dice che vorrebbe utilizzare le stesse scenografie per fare un film con Totò, al cinema inattivo fin dalla fine della guerra. Bisognava farsi venire un'idea, trovare qualcosa che potesse svolgersi negli stessi ambienti e con gli stessi costumi: pensammo di fare la parodia de Le due orfanelle e abbiamo fatto I due orfanelli, con Totò e Campanini.
Andammo poi a vedere Totò durante le riprese molto timidamente. Fu la mia prima esperienza cinematografica.
Probabilmente non ci eravamo neppure accorti di aver centrato con l'idea della parodia un aspetto tipico della comicità di Totò, che con Scarpelli ripresi qualche anno dopo in Totò sceicco, che rifaceva il verso a tutta la grande epopea della legione straniera, strizzando l'occhio all'Atlantide e alla tradizione della letteratura romantica già saccheggiata dal cinema francese e americano.
Totò parodiava sempre qualche cosa, muoveva, sempre da uno spunto e si divertiva e deformarlo, a distorcerlo, ad aggredirlo, a insultarlo. Si è sempre divertito a rifare qualche cosa ; di già esistente, che liberamente reinterpretava, facendolo diventare l'occasione di una esibizione personalissima. Era la sua grande forza.
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La parodia può diventare sarcasmo, diventa anche satira, non solo satira sociale ma anche satira politica e nelle forme più aguzze. Non bisogna dimenticare la sua formazione, la nascita di Totò attore. Certo, viene dalla grande matrice del teatro napoletano, una scuola da cui sono usciti in tanti, percorrendo strade diverse, con risultati diversi, chi è sfociato nel teatro di Eduardo, chi nel teatro leggero: ma era una scuola in cui l'attitudine a rifare il verso ai diversi tipi, la capacità di catturare un atteggiamento, di prendere di petto una situazione venivano coltivate in modo particolare, mettendo a frutto le I risorse native dei diversi attori.
Negli anni successivi, facemmo molte sceneggiature di film di Totò, eravamo sempre i soliti, con in testa Vittorio Metz e Marcello Marchesi, e poi Monicelli, Steno, io e Scarpelli, Maccari e gli altri che sono venuti subito dopo. Del resto, chi poteva lavorare per Totò che era un attore eminentemente comico? O gli autori di rivista che lo avevano fiancheggiato (e qualcuno ha continuato a lavorare con lui anche nel cinema) oppure gli autori che scrivevano sui giornali umoristici e satirici o per le rubriche radiofoniche. Si trattava quasi sempre di piccoli gruppi, due, tre persone, che dicevano: " Facciamo assieme, c'è questa occasione". I produttori pagavano poco, ma sempre di più delle altre collaborazioni: all'inizio, il cinema lo facevamo per guadagnare qualcosa di più, farsi conoscere, magari con l'ambizione di fare meglio dopo, come in effetti è avvenuto. Nel bene e nel male, è abbastanza naturale che fossero certe persone a fare i film di Totò e che fossero fatti in un certo modo. Non si può dimenticare che anche alla base di un cinema strampalato e sopra le righe come quello di Totò c'era la matrice che nel dopoguerra dominava un po' tutto, la filiazione del neorealismo.
Il gusto dell'imitazione, della parodia non manca neppure in Totò che rifà lo scolaro interrogato dalla maestra e in altre situazioni di Totò cerca casa, ma certamente riaffiora in modo più prepotente in Figaro qua e Figaro là, che riprende la trama del Barbiere di Siviglia, anche se è un po' stravolta, violentata. Siamo nuovamente alla parodia, magari fatta a colpi di mazza: gli autori non guardavano certo per il sottile, nessuno vuole dire che si lavorava di bulino o di fioretto, no, no, colpi di mazza, di scure a doppio taglio, di bipenne. Si passa dalla farsa molto attuale, con il problema dei senzatetto, a un divertimento più disimpegnato, ma non privo di qualche aggancio con la realtà. Chi veniva come noi dai giornali satirici non rinunciava a strizzare l'occhio all'attualità, se non altro con una battuta o un gioco di parole. Certo, non si esitava a intervenire nel traliccio fondamentale dei testi da cui prendevano spunto, non si esitava ad aggiungere elementi presi da altre parti.
47 morto che parla era un cavallo di battaglia di Petrolini, l'abbiamo modificato e adattato, abbiamo aggiunto tra l'altro la mongolfiera che se ne va portando con se i navigatori dell'aria involontari, che è un pezzetto di Cinque settimane in pallone di Jules Verne. Ma c'è anche qualcosa dell' Arpagone di Molière, c'è sempre questo gioco combinatorio, questo intreccio di imprestiti, non c'è da vergognarsi, l'han fatto tutti, non escluso Molière che ha rubato un pezzo a Cyrano de Bergerac e l'ha messo pari pari in una commedia. Siamo arrivati addirittura a cinque, sei film di Totò in un anno, spesso io e Scarpelli non credevamo neppure di riuscire a farcela. C'era anche dell'incoscienza, ma in fondo quello che ci veniva chiesto aveva dei limiti rigorosi, entro il tale giorno doveva esserci un copione pronto, non stiamo a sofisticare, mettetevi al lavoro e fatelo. Totò cerca moglie l'abbiamo cominciato il capodanno del '50 e dodici giorni dopo il copione era scritto. Eravamo autori gettonati, s'infilava un gettone con una richiesta ben precisa, e dopo pochi r giorni veniva fuori la risposta. Eravamo come giornalisti che devono fare il pezzo sul tamburo, sempre in fretta.
Ma prima di tutto deve esserci un copione: e con noi sapevano che entro quel giorno saremmo arrivati a consegnare dei fogli dattiloscritti, senza dei quali non si poteva partire verso la piccola avventura di qualche settimana che costituiva la lavorazione del film.
Allora un film di Totò si, girava in un paio di settimane, qualche volta addirittura seguendo gli itinerari della sua compagnia. Il regista sapeva che l'avrebbe trovato il tale giorno a Padova, dove nel pomeriggio avrebbe girato una certa scena in un bar, e tre giorni dopo avrebbe potuto girare un'altra scena a Torino, gli interni si poteva portarli a termine durante la sua permanenza a Roma. Ne sono nati tanti così. Era una specie di scommessa che il regista faceva con se stesso. Quando mi capita di rivedere un film di quel periodo, sono pronto a subire qualsiasi cosa, ad accettare tutte le esperienze di un periodo in cui si lavorava con uno spirito d'avventura magari un po' rozzo, goliardico. Ma vedendo Le sei mogli di Barbablù ricordo di aver avuto dei brividi, anche se pensavo di essere rotto a tutto, andava veramente un po' al di là. Era un film nato male, su una di quelle idee balorde che non quadrano mai per quanti sforzi si facciano e per quante nuove teste si chiamino a consulto. Ci sono sceneggiature che hanno avuto sei, sette collaboratori, ad un certo punto eravamo talmente tanti che non potevamo apparire tutti, e allora firmavamo con un paio di nomi inventati. Solo con i film a episodi l'essere in tanti giovava, ci si divideva il lavoro, e si procedeva più spediti verso la consegna. La regola era: facciamo presto. Anche Totò cerca moglie è uno dei film scritti al galoppo per essere girati in dodici giorni, per sfruttare subito il successo di Totò cerca casa con un film che lo richiamasse fin dal titolo. C'era l'episodio molto divertente della famiglia dei miopi, con Totò che si finge miope, e che finiva in una specie di balletto, pieno di trovatine. C'era anche un " boomerang ", che era diventato quasi un personaggio, andava, veniva, bussava.
Bisogna fare presto, altrimenti va tutto per aria, era il nostro modo per metterci in pace con la coscienza professionale, che era allora abbastanza labile. La fretta non è una giustificazione sui tempi lunghi, ma sul momento sì, lo confesso, ci sentivamo giustificati. Non sono d'accordo del resto con i soloni secondo cui Totò non ha trovato il regista o gli autori giusti, o che avrebbe potuto fare molto meglio con altri autori. Certo, può essere vero in alcuni casi, ma quando ha fatto queste mascalzonate, di cui sono uno dei complici, Totò era contento così, si divertiva a fare quello che faceva, sentiva il contatto con la prima platea, quella del set e della " troupe ", sapeva che nelle sale la gente si divertiva, non aveva altre ambizioni. Solo più tardi ha sentito il bisogno di fare un passo avanti, leggendo qua e là ha cominciato a pensare che i suoi registi e i suoi autori non fossero alla sua altezza. C'è stato un momento in cui ha voluto assolutamente fare un film con un regista, che gli avevano detto faceva i carrelli. La cosa doveva risultargli un pochino misteriosa, ma era tutto eccitato dalla novità tecnica, dalla possibilità finalmente di rimediare al fatto che fino allora lui era stato carente su questo piano, era stato poco carrellato. Il film risultò brutto per altre ragioni, non c'entra niente un carrello in più o un carrello in meno. Totò era una carta così grossa che riempiva 1o schermo da solo, non aveva bisogno di particolari mezzi tecnici, di sofisticate ricerche registiche, che potevano risultare ingombranti, frenare il suo rapporto con il pubblico. In fondo, ha fatto i film che doveva fare.
Totò si buttava su tutto con una sensibilità, con un fiuto attento, vigile, inspiegabile: forse è in questo che qualche volta abbiamo mancato, non nel carrello in più o nel carrello in meno, nello stacco in più o nello stacco in meno.
Negli altri film dello stesso periodo continua ad avere molto rilievo la parodia. Totò Tarzan nasceva proprio dal contrasto tra il fisico atletico dei personaggi e l'aspetto così minuto, fragile di Totò. Totò sceicco si rifaceva al cinema romantico e d'avventura degli anni Trenta, che era passato tutto attraverso la legione straniera: il fazzoletto attaccato dietro al cappello, il sole aggressivo, i grandi deserti, che erano poi la spiaggia di Fiumicino.
Sette ore di guai è uno dei tanti film tratti dalle commedie di Scarpetta, che a sua volta derivano spesso da vecchie " pochades " francesi. Non andò bene, e i noleggiatori ne diedero la colpa al titolo, alla presenza della parola " guai " che non poteva che portare scalogna. I fatti scaramantici hanno sempre avuto molta importanza nel mondo del cinema. Totò terzo uomo, con i tre diversi ruoli sostenuti da Totò, confermò le grandi qualità dell'attore capace di calarsi in un personaggio, di uscirne e di entrare in un altro, di differenziare i diversi personaggi con un atteggiamento, un'inflessione della voce.
Toto e le donne aveva uno strano andamento di confessione, con alcune cose abbastanza nuove, con altre che davano l'idea di correre dietro ai tempi o di non osare abbastanza. C'era già il tentativo di uscire un po' dai soliti schemi dei film a costruzione lineare. Ma solo con Totò e Carolina affiorò esplicitamente l'intenzione di fargli interpretare caratteri più solidi. Il film fu bloccato dalla censura per il diretto intervento di Scelba: solo dopo un lungo periodo di quarantena gli fu consentito di uscire, ma con una trentina di tagli e di modifiche. Oggi è incredibile, ma un film così fu brutalizzato dalla censura soprattutto perché Totò indossava la divisa di guardia di pubblica sicurezza, si parlò di vilipendio delle forze armate, di vilipendio della religione. Era un film comico, ma uno dei primi film comici in cui contenuti farseschi si mescolavano a momenti drammatici, seri. Poi ne vennero molti altri.
C'era già il. tentativo di sganciare Totò dal mimo, di farlo diventare più carattere, più personaggio. La legge è legge fu un altro tentativo di far uscire Totò dai confini del mercato italiano: mi accorgo che continuo ad usare il termine tentativo, si vede che per molto tempo non abbiamo fatto altro che tentativi. Con I soliti ignoti abbiamo fatto centro per caso. Non avevamo previsto la presenza di Totò, che invece ci venne richiesta dalla distribuzione, preoccupata dall'incognita Gassman nel suo primo ruolo brillante. Totò creò un personaggio fuori dalle sue esibizioni consuete, inserito in una storia che non gli si appoggiava addosso, un ruolo importante non tanto per le battute che diceva ma per la sua maniera di caratterizzarle: un'interpretazione eccellente, una riprova delle sue qualità. Risate di gioia è un altro dei film che cercavano di differenziarsi dalla " routine " farsesca: l'idea era quella di far tornare assieme Totò e la Magnani, che erano stati una coppia straordinaria nel teatro di rivista. Ne risultò un film squilibrato, il pubblico si aspettava qualcosa di più.
Negli anni successivi ci siamo incontrati sempre meno con Totò, una delle ultime occasioni è stato un film mediocre come Totò e Peppino divisi a Berlino, una cosa un po' tirata via, arrangiata.
Fu un incontro patetico, Totò era fisicamente molto giù, ci sembrò che riponesse una certa fiducia nella nostra presenza, e per un po' c'è rimasto il rimpianto di non aver saputo rispondere a questa attesa che abbiamo visto nel suo sguardo. Totò avrebbe voluto fare un film muto. Una volta ne parlammo assieme. Era un grandissimo mimo, lo avrebbe potuto interpretare straordinariamente. Quando però accennammo la proposta ai produttori, ai noleggiatori, ai distributori, trovammo grande perplessità da parte loro e la loro reazione si manifestò con una esclamazione: " Ma come, un passo indietro! " Non capirono che una cosa vecchia sarebbe potuta diventare estremamente nuova.
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