Un turco napoletano
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Film a colori durata 86 min. - Incasso lire 603.000.000 (valore attuale € 16.528.925,61) Spettatori 4.500.000 Video-clip 36 sec. "Un turco napoletano" 1953 di Mario Mattoli. Soggetto dalla farsa omonima di Eduardo Scarpetta 1888; sceneggiatura: Alessandro Continenza, Mario Monicelli, Italo De Tuddo, Ruggero Maccari. Produttore Rosa Film, Direttore della fotografia Karl Strauss e Riccardo Pallottini, Musiche Tito Solesi dirette da Pippo Barzizza, Montaggio Roberto Cinquini, Sceneggiatore Piero Filippone, Direttore di produzione Giorgio Morra e Claudio Agostinelli, Aiuto regista Roberto Cinquini, Fonico Roy Mangano, Produzione Lux-Rosa, in ferraniacolor. Interpreti: Totò (Felice Sciosciammocca), Isa Barzizza (Giulietta), Franca Faldini (Angelica), Carlo Campanini (don Pasquale), Enzo Turco (don Carluccio), Mario Castellani (onorevole Cocchetelli), Primarosa Battistella (Lisetta), Amedeo Girard (don Ignazio), Aldo Giuffrè (Faina), Vinicio Sofia (il vero turco), Anna Campori (Concettina), Christiane Dury (Marion), Peppino De Martino (il barone), Mario Passante (Peppino), Dino Curcio (Michele), Ignazio Balsamo (Ignazio), Nicola Maldacea jr. (Salvatore), Giacomo Furia (un secondino), Guglielmo Inglese (un falegname becchino), Valeria Moriconi (una bagnante), Totò Mignone (il professore di turco) Trama: L'Onorevole Cocchelletti ha promesso a don Pasquale, gelosissimo della moglie e della figlia un eunuco turco per custodire le loro virtù. Ma Felice Sciosciammocca un carcerato evaso, si sostituisce al turco e qui è un susseguirsi di situazioni esilaranti, fino alla scoperta della vera identità del turco. Lo scandalo viene soffocato per il bene di tutti. |
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Critica: E' il primo film della trilogia ispirata ad Eduardo Scarpetta diretti da Mattoli. Del cast fanno parte attori consacrati delle commedie scarpettiane come Enzo Turco, Dolores Palumbo, Tecla Scarano, Amedeo Girard, Ugo D'Alessio, Aldo Giuffrè, Pupella Maggio a questi vengono affiancati Liana Bill, Franca Faldini, Giacomo Furia, Anna Campori, interpreti che ritroveremo, con ruoli più o meno importanti, in tutti e tre i film ispirati a Scarpetta quasi come se si trattasse di una compagnia teatrale. La commedia di Edoardo Scarpetta, che fa da soggetto al film, è una piccola enciclopedia degli elementi classici che permettono a Totò di dare fondo al suo esilarante repertorio. Ben oliato il cast, esatta la regia di Mattoli. Scriveva Gian Luigi Rondi: " [..] Non e' difficile ritrovare nella inesauribile vena di Totò quella tradizione di comicità quasi estemporanea che ebbe a suo tempo, negli spettacoli del napoletano teatro San carlino, la sua espressione più fertile, più colorita più viva [..] . E Sergio Frosali: " Finalmente un film con Totò non mette accanto a Totò degli attori che si danno invano da fare per colmare il distacco di comicità che li separa da lui , non è costruito su un soggetto e un dialogo che portino in film -peggiorandole - le sciocchezze della rivista, non mostra nella regia l'imperativo del far presto ". In questo film Totò veste i panni di Felice Sciosciammocca in una farsa liberatoria e, di una comicità irresistibile, prima riduzione di Mario Mattoli dalla "trilogia" di Eduardo Scarpetta, seguita da "Miseria e nobiltà" e "Il medico dei pazzi". L'Artista ancora una volta dà prova della sua forza recitativa, perché sa esprimere tutta l'ironia e la presa in giro del mondo attraverso tecniche recitative apparentemente elementari, che sono in realtà una elaborazione complessa di tutto l'impianto recitativo, ben coordinato e costruito evitando sempre quello che è il pericolo costante, ossia l'esagerazione. Proprio nella trilogia scarpettiana, ci si rende conto che la sua arte poggia sulla misura, sull'autocontrollo, che gli consente di raggiungere il massimo effetto comico senza mai ridursi a burattino. Per capire bene questo concetto basta confrontare la recitazione di de Curtis in "Animali pazzi" e in "Un turco napoletano": nel primo tutto è esagerato, spostato sul piano del contorsionismo fine a se stesso e del cartone animato e l'effetto comico non è quasi mai raggiunto perché ci troviamo di fronte ad un pupazzo di carne che si sforza di far ridere, senza riuscirvi; nel secondo invece siamo di fronte ad un attore grandissimo che, dominando completamente la sua recitazione, restituisce in uno specchio deformante, e sempre con una garbata ironia e compatimento, tutti i difetti umani, raggiungendo i vertici della comicità. In questa farsa esplicita, che non vuole essere altro, Totò riesce ad esprimere quello che Monicelli giustamente definiva comicità surrealistica". In "Un turco napoletano" troviamo sceneggiatori del livello di Monicelli e Maccari, che sono in grado di frenare le fughe senza controllo, che sono purtroppo il limite di Mattoli. Totò ne esce come un grande clown Augusto, un piacevolissimo e garbatissimo Felice Sciosciammocca, capace di infilarsi nelle pieghe dell'esistenza come un batterio o un parassita che si scava la sua piccola nicchia per sopravvivere ai danni della follia umana. Tutte le risorse acquisite nel teatro di rivista sono spese e utilizzate al meglio. Alcuni momenti di "Un turco napoletano" sono esilaranti, come il piccolo dialogo sugli "evasi di notte" o l'incontro a Sorrento con l'unica persona che sa parlare turco, i duetti iniziali con Don Pasquale (Carlo Campanini) e quelli con Faina (Carlo Giuffrè). Si ride in modo liberatorio attraverso una recitazione perfetta, che tende a prendere in giro, tra i difetti dell'umanità, quelli del sesso, della gelosia, dell'avarizia, della spavalderia e della sciocchezza universale. Unica scena in cui Mattoli ripropone la vecchia maschera di Totò è la brevissima danza da avanspettacolo in cui la "marionetta" snodabile si esibisce insieme alle donne dell'harem immaginario. Alcune battute ritornano, come cerea e Quel viso non mi è nuovo (detta da Felice mentre guarda attentamente il sedere della bella francese). Si ha la netta impressione che Totò sia stato lasciato libero completamente di recitare senza guida (e le cronache lo confermano ), perché in strutture drammaturgiche come le farse di Scarpetta, questo era il modo per raggiungere ii massimo risultato: Totò vi entra con una sicurezza e una padronanza di se che gli derivano dal pensare che stava recitando non in un film, ma su un palcoscenico mentre una macchina da presa nascosta tra le quinte lo riprendeva. Tratto da "Totò principe clown" di Ennio Bìspuri per gentile concessione |
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