A
buje, uommene e femmene, sentite sta’
sparata. Battagliò! Fanfarrò! Pupulaziò!
I aize ’o bastò! Attenziò. E’ asciuto
pazzo ’o padrò’!. Per le vie di Boston,
negli anni Settanta dello scorso secolo
fu visto sfilare accanto ad
americanissime e floride majorettes un
‘Pazzariello’ (nell'immagine d'epoca)
inviato in seno a una delegazione
napoletana come paradigma di cultura
patria. Erano presenze che in quel
periodo si potevano ancora incontrare
nella citta’ del Golfo. Uno di questi
aveva sostituito all’antica feluca un
berretto da ferroviere. E se oggi a
Napoli tornasse ‘o Pazzariello? In tempi
di crisi sono in molti a chiedere che
per le strade laviche della città del
Golfo questa figura passi ancora, come
nei secoli scorsi, ad annunciare non
solo il vino nuovo e la farina ma
soprattutto la speranza.
‘’Sarebbe
bello rivedere il Pazzariello per le
strade’’, dice all’ADNKRONOS l'autore
della proposta, l’editore napoletano
Paolo Izzo, ricordando che ''già nel
1866 Emmanuele Rocco ne lamentava la
temporanea scomparsa dovuta a
un’infestazione da parassiti delle viti
e ad una conseguente rarefazione del
vino sul mercato. Sarebbe bello
rivederlo anche solo per non dimenticare
chi siamo, perché siamo qui oggi, e
soprattutto in che direzione e in quale
futuro ci apprestiamo ad entrare. Sì, la
piccola scalcagnata fanfara del
Pazzariello avrebbe ancora oggi, tra
tante lordure, un ineffabile sapore di
vita, quella che vale ancora la pena di
vivere''.
E così, dopo aver lanciato questa
‘salutare provocazione’, Paolo Izzo ha
fatto di più: ha indagato la storia e il
messaggio di questo istrione
napoletanissimo scrivendo anche un
libro: ‘Il Pazzariello. Contributo alla
definizione di un mito’ (Ed. Stamperia
del Valentino, Napoli, pp. 138, euro
15). Si parte da Vico Pazzariello, ‘un
budello della Napoli dimenticata’ per
fare un salto nella storia e nel
costume. Chi non ricorda ‘Uomo e
galantuono’, in cui Eduardo, per far
simulare la follia al capocomico
Gennaro, in fuga da imabarazzanti
situazioni, mima passi tipici del
Pazzariello? L’icona, poi, è quella di
Totò nel film ‘L’Oro
di Napoli’, del 1953. Ma del
Pazzariello non sembrava ci fossero
tracce più risalenti.
Un’affannosa ricerca portava a scoprirne
‘esemplari’ tra Ottocento e Novecento. E
una cartolina stampata a Napoli
dall’editore Ragozzino, immortala il
Pazzariello corredando l’immagine con
una poesia in dodici versi, firmata in
calce ‘Ferdinando Russo’. Dicono:
‘Currite! Mo s’è aperta sta cantina/ on
Pascale, o marito a sia Vicenza. E’
galantommo e tene robba fina!/ poi tene
e llire e ve po fa crerenza’. Può
vendere con ‘la libbretta’ del credito.
Mentre una lirica di Raffaele Chiurazzi,
riportava: ‘’A sparata d’o pazzariello,
tutto o popolo tene astrinto’. Il
Pazzariello aveva il cappello a due
punte ed era insaccato in improbabili
abiti da ufficiale murattiano. Impugnava
un grande bastone da portinaio.
Procedeva attirando volontariamente a sé
ragazzini vocianti, tra sberleffi e
salaci frizzi. Pubblicizzava, da esperto
di marketing dei tempi andati, tre cose;
il vino nuovo, i maccheroni, le farine.
In Viviani pubblicizza una chianca
(macelleria) e Ungaretti parla di olio e
mozzarelle. In Ruocco il Pazzariello è
invece banditore di meloni maturi,
‘rossi manco ’o ffuoco’.
Si agita con altri personaggi che gli
fanno corona: una vecchia e tre
suonatori. La sua musica è fatta da
trombette, putipù, tricche-ballacche,
scetavajasse, zerri-zerri. Non mancano
grancassa e zufolo. Ha sempre i piedi
nudi e spesso porta imbuti per travasare
vino e qualche buona novita’ per il
popolo. Aveva una funzione sociale: far
comprendere a un’utenza illetterata
quanto andava propagandando. Il suo
messaggio è perciò immediato, semplice e
chiaro. Non esistendo i numeri civici,
poi introdotti da Luigi de’ Medici,
ministro di Ferdinando IV, indicava la
‘nova puteca’ con altri riferimenti:
vicino a questo o a quello, a ‘Gennaro o
scarparo’ o a ‘Nanninella ’a cantinara’.
Quasi sempre spiega che il padrone del
nuovo negozio ‘tene pasta ’e sustanza,
tene e llire, e putite spennere c’a
crerenza’. Per le frange popolari della
Napoli tra Ottocento e primo Novecento’,
dice ancora Izzo, ‘’valeva più la
speranza del pane’’. Anche se al popolo
minuto il Pazzariello parla ‘della voce
del vino nuovo’, con le sue mosse e
lazzi, spesso ‘conditi da antico sale’ e
firmando tutto con: ‘Professori (così
indicava i suoi tre suonatori), musica e
avanti!’. Il messaggio deve raggiungere
altre sedie di paglia piantate sui
quartieri.
Il Pazzariello napoletano è la reclame
vivente e non da oggi, stante che la sua
nascita secondo altri ricorda la
dominazione spagnola, quando i banditori
si fermavano ai crocicchi delle vie
annunciando ad alta voce le disposizioni
per il popolo. Meglio di una quarta
pagina sul giornale, il Pazzariello che
grida: ‘Cca tenimmo ’o capo vino! Nuie
nun ghiammo ascianne ’o fummo. Gente,
popolo, currite’. Poi, un giorno, il
Pazzariello è scomparso dai vicoli e dai
quartieri a monte di via Toledo, dalle
salite a rampe tra Cariati e San
martino. ‘E’ scomparso anche dai dedali
della parte egizia, greca, fenicia,
bizantina di Napoli: Forcella, San
Gregorio Armeno, via Nilo, l’Anticaglia,
Sant’Agostino alla Zecca’. Abitava la
carne della città, la sua forza e il suo
spirito, facendo ‘’n’ammuina, ’nu
revuoto’.
Secondo alcuni di Pazzariello a Napoli
ce ne sarebbe stato uno solo per volta.
Una sorta di ‘Rex Nemorensis’: quando
sentiva l’eta’ incalzare, e solo allora,
prendeva con sé un apprendista
trasmettendogli i segreti del mestiere e
insegnandogli la pratica nelle sue
esibizioni di piazza.
Ma dove nasce la ‘provocazione’ di Izzo
e l’idea del libro-appello per il
ritorno del Pazzariello? ‘’L’idea di
base continua ad essere quella di un
prolungamento della memoria storica -
spiega l’autore - Si cerca di salvare
quei tasselli che stanno per scomparire
dalla nostra quotidianità e si teme
anche dalle nostre coscienze. Su questo
argomento, come su tanti altri in
precedenza trattati in altri titoli, non
esiste praticamente nulla nel panorama
editoriale: in apparenza sembrerebbe
ricco di riferimenti, ma se ci si
riflette non si va molto oltre il cammeo
di Totò ne 'L’oro di Napoli' o, per chi
è napoletano, una qualche memoria visiva
sempre riconducibile a tempi ormai
andati’’.
‘’Nessuna monografia mi risulta sia
stata mai prodotta sull’argomento –
aggiunge Izzo - e comunque, se ci fosse
stata, qualche traccia ne sarebbe
riemersa. Piccoli tasselli: articoli da
stampa periodica d’epoca, interventi in
testi che spaziano dal Cinquecento fino
alla seconda metà del Novecento,
illustrazioni prodotte tra i primi
dell’Ottocento agli anni settanta del
Novecento, per lo più incisioni e solo
poche foto, anche quelle in genere molto
risalenti. Se non l’unico testo
sull’argomento (la prudenza d’obbligo,
nel dubbio che qualcosa possa esserci
sfuggito) si tratta comunque di un
argomento del tutto trascurato, di uno
scritto davvero originale, documentato e
di piacevole lettura. In ogni caso ho
ritenuto di riportare integralmente in
appendice al volume tutti i testi da me
reperiti sull’argomento, e sui quali ho
lavorato, in modo che il lettore possa
seguire modalità e passaggi che hanno
portato a compimento questo viaggio nel
nostro immaginario collettivo’’.
Ma dietro questo si è scoperto ben
altro, dalle origini del personaggio ai
contesti in cui certe manifestazioni
erano in grado di attecchire. Non è un
fenomeno nobile quello incarnato dal
Pazzariello, piuttosto è generato da una
genuina istanza popolare. Autorevoli
penne come quella di Giovanni Artieri
addebitarono infatti la mancanza di
testimonianze all’estrazione
eccessivamente plebea del
fenomeno-pazzariello.
'‘La realtà – rimarca lo studioso
partenopeo – è che questo, come molti
altri fenomeni, è rimasto in vita finché
la popolazione lo ha voluto. E’ finito
quando noi siamo cambiati. La
fuoriuscita del Pazzariello dalle nostre
coscienze rappresenta la perdita di uno
tra i tanti tasselli della nostra
identità passata. Lo dirò a bassa voce,
in un momento in cui si stanno
riscoprendo particolarismi e male
interpretati orgogli territoriali: se
fosse proprio il Pazzariello l’emblema
di quel che di noi dovremmo salvare? ''.
''E’ una provocazione ovviamente –
chiarisce Paolo Izzo - Ma siamo sicuri
che mantenendo in vita tasselli del
nostro profondo quale quello
rappresentato dal Pazzariello non si
riesca a conservare una coscienza di noi
stessi e del nostro bagaglio identitario?
‘Mea culpa’. Comincio a sospettarlo…’’.
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