|
“La marcia trionfale di Totò sullo schermo stava per incominciare con un litigio. In un ristorante a Roma, nel 1937, l’attore si accorge che da un altro tavolo una coppia lo sta osservando con ostentata insistenza e ride e sembra rifarne le tipiche mosse da marionetta. Totò a un certo punto decide di alzarsi per dire il fatto loro a quelli che ritiene invadenti dileggiatori. Ma viene fermato: i 2 che lo guardavano sono Leda Gys, gran dive del cinema muto, e il marito, Gustavo Lombardo. E non stanno affatto prendendo in giro Totò: discutono del suo valore e concordano che sarebbe una mossa azzeccata farlo conoscere al grande pubblico delle sale cinematografiche. Non è una discussione accademica, è già un progetto perché lombardo ha una solida posizione come distributore e produttore (è il padrone della Titanus!!!!) e vuole espandersi ancora. Pochi mesi dopo è cosa fatta: Totò debutta sullo schermo in un anno epocale per il cinema italiano. Il 28/04/37 è stata inaugurata Cinecittà.”
“La fine degli anni Trenta coincide con la fine del matrimonio di Antonio de Curtis e di Diana Bandini Rogliani. Sposati il 06/03/35 a Roma, quando la figlia Liliana ha quasi 2 anni, ottengono in Ungheria una sentenza di annullamento che diventa esecutiva in Italia nel 1939. Marito e moglie continueranno a vivere sotto lo stesso tetto fino al 1950, per non procurare traumi alla loro bambina.“
“Dopo la guerra riprende l’attività cinematografica, ma lontano da Cinecittà, occupata dagli sfollati e dalla Polizia alleata. Perciò ci si arrangia girando in esterni, o in locali prestati. Totò è felice, intanto perché, finita la guerra, gli è passata la paura di essere deportato…ma soprattutto perché il tribunale di Napoli ha emesso una per lui sospiratissima sentenza: confortato da ricerche araldiche Antonio de Curtis ha diritto di fregiarsi dei titoli che spettano all’erede al millenario trono di Bisanzio. Il suo nome per esteso suona ora Antonio Griffo Focas Flavio Angelo Ducas Comneno Porfirogenito Gagliardi de Curtis di Bisanzio, ed è solo altezza imperiale ma anche conte palatino, cavaliere del Sacro Romano Impero, esarca di Ravenna, nonché principe di Costantinopoli e duca, conte e conte duca di un numero immenso di territori tra i Balcani e la Grecia. “Nei primi anni del dopoguerra Totò non sa decidersi tra cinema e teatro. La sua carriera sulle scene era un crescendo di successi sin dal 1928, quando era stato scritturato dall’impresario Achille Maresca per la compagnia di Isa Bluette. Il consenso degli spettatori cinematografici era, invece, troppo recente e agli occhi di Totò appariva instabile. Perciò si divideva tra lo schermo e il palcoscenico del teatro di rivista, dov’era, da 20 anni, un protagonista assoluto. L’anno della svolta è il 1949: l’attore recita in Bada che ti mangio e poi decide di dedicarsi al cinema.”
|
“Il 1949 è un’annata fecondissima per Totò (ben 5 film in cantiere!) che sta provando la gioia di veder le cose andare per il verso giusto nel campo che gli sta a cuore: quello araldico. “Lo ammetto”, diceva spesso: “questa storia della nobiltà è una sciocchezza. Io però ci tengo. Del resto è un modo per onorare i miei antenati di Bisanzio”, e ostentava al mignolo un anello con il sigillo imperiale. Da quasi 20 anni Totò è impegnato a farsi riconoscere i titoli nobiliari che, a suo parere, inequivocabilmente gli spettano. Adottato dal principe Gagliardi Focas, riconosciuto dal padre, il marchese Giuseppe de Curtis, Totò (nato Antonio Clemente, figlio d’una madre nubile, che gli ha dato il primo cognome) ha ottenuto nel 1945 una prima sentenza che lo riconoscesse erede degli imperatori di Bisanzio e gli ha dato diritto di fregiarsi del lungo titolo nobiliare. Qualcuno lo accusa di usurpazione di titoli e Totò replica a colpi di azioni legali.
Ha già vinto in tribunale una causa nel 1946 contro il principe Nicola Nemagna Paleologo e sta per vincerne un’altra contro il sedicente imperatore di Bisanzio Marziano II Lavarello Lascaris. Sui quarti di nobiltà Totò non transige: gli uomini della troupes devono chiamarlo principe. L’ira di Totò principe risparmia nel 1952 soltanto l’avvenente Maria Teresa Ily Dites Lule Argondizza-Tocci, che, a 19 anni, si presenta come sua rivale araldica, perché afferma d’essere discendente in linea femminile di Costantino XII, ucciso dai turchi di Maometto II sulle mura di Costantinopoli nel 1453. La risposta di Sua Altezza è magnanima e cavalleresca. “io ho sempre sostenuto d’essere unico erede di Costantino in linea maschile.
E’ possibilissimo che la signorina Maria Teresa sia discendente in linea femminile. Sono lieto di avere incontrato una parente così giovane e bella” “Nel 1950 Totò entra nella storia minore del nostro Paese. Tutto comincia il 20 luglio: nel caldissimo pomeriggio di quel giorno, in una trattoria nel centro di Roma, la signora Edith Mingoni Toussan si sfila il bolerino e resta in decoltè. A una tavola vicina siede, con amici, Oscar Luigi Scalfaro, che quasi mezzo secolo dopo diventa presidente della Repubblica. In quel momento è un giovane e battagliero deputato democristiano: sente il dovere di riguardare quella “scostumata” e lo fa, prima dalla sua tavola poi dal parlamento con un’interpellanza al governo De Gasperi con la quale chiede che si ponga freno “a una moda che offende la morale e la dignità del cittadino”. Il padre della donna, offeso per la cattiva nomea della figlia, manda al parlamentare il cartello di sfida. Scalfaro risponde: “quando una persona seria si trova alle prese con una cosa poco seria non la prende in considerazione”. A questo punto il principe de Curtis decide di intervenire scrivendo a Scalfaro: “il sentimento Cristiano avrebbe dovuto impedire a Lei e ai Suoi amici di fare apprezzamenti in un pubblico locale sulla persona di una Signora rispettabilissima. Abusi del genere comportano l’obbligo di assumerne le conseguenze” Ovvero: se Lei non si batte stia zitto. Il tutto venne pubblicato il 23/11/1950 sull’Avanti! Ma il caso della signora era già al tramonto!”
“Sciupafemmine impenitente in gioventù (lasciò una subrette per sua sorella, che era più anziana ma lo intrigava di più), incontrò nel 1928 la chanteuse Liliana Castagnola, un’innamorata di cui sottovalutò la passione. La notte del 03/03/1930 lei si era uccisa. Totò non la dimenticò più: Liliana venne sepolta nella tomba di famiglia dei de Curtis, e quando Diana Bandini Rogliani, nel 1933, gli diede una figlia, Totò volle chiamarla Liliana.
Nel 1954 per fortuna c’era Franca Faldini, che gli dava serenità e forza: dopo 2 anni di vita insieme, la sua compagna era incinta. In attesa da poche settimane reciterà in Miseria e nobiltà, nella parte d’una modista piemontese, poi si metterà a riposo perché la gravidanza si annuncia difficile. Totò, invece, ha un’attività frenetica.
Partecipa come autore al Festival di Sanremo, con la canzone Con te, interpretata da Achille Togliani e dalla coppia Natalino Otto e Flo Sandon’s. Il ritornello “vorrei vivere con te, con te, con te tutta la vita” non lascia dubbi su chi sia l’ispiratrice dell’appassionata invocazione. ”Totò al cinema è instancabile: nel 1954 gira 7 film. Trova anche il tempo di dedicarsi ai giornali: ha letto contro di lui e Franca accuse di concubinaggio, aggravato dall’attesa di un figlio. Allora s’inventa un riservatissimo matrimonio svizzero, e spiega alla stampa che ha tenuto segreta la cerimonia per timore d’essere criticato a causa dell’abissale differenza d’età, lei ha 33 anni di meno! Totò e Franca sono felici, attendono il loro bambino con impazienza. Ma la bella commedia si trasforma in dramma il 12 ottobre: in una clinica romana nasce, e muore nello stesso giorno, Massenzio, il sospirato figlio maschio del principe. Il bimbo viene sepolto a Napoli nella cappella di famiglia, e Totò non ne parlerà mai più: con suo figlio sono morti tutti i suoi sogni. Nel 1962, decimo anniversario della convivenza, Totò pensò di sposare veramente Franca, ma lei disse che andava bene così. Si troveranno d’accordo sul matrimonio nel 1967: la cerimonia era prevista per l’estate. Ma da quell’anno, per il principe de Curtis, non ci furono più estati!”
“Franca Faldini ricorda: tra le pareti di casa nostra molti politici avevano un soprannome e con questo erano sempre indicati da Totò. Giovanni Gronchi era Piede ‘e papera, Gava e Zaccagnini i Fratelli De Rege, De Martino era ‘o cane ‘e presa, cioè il mastino napoletano, Enrico Berlinguer era Stanlio, Preti era Panza ‘e broccoli, Amintore Fanfani il Centocervelli, la Merlin, alla quale attribuiva la recrudescenza dei crimini sessuali, era per lui Signora omicidi.” “Il successo trionfale sullo schermo aveva per Totò un sapore d’amaro. Era convinto che della sua arte non sarebbe rimasto niente, destino che considerava ineluttabile per un attore. Cercò allora di lasciare una traccia meno effimera, affidandosi alla parola scritta. Nel 1952 pubblicò 2 libri: un volume di poesie, ‘A livella, e una biografia, Siamo uomini o caporali?. Non ebbero alcun successo: finchè fu in vita, Totò non pubblicò più nulla. Dopo la sua scomparsa, nel 1967, il tutto fu rivalutato, dando la caccia agli inediti. Totò nella sua biografia si compiaceva di ricordare che l’ispirazione per quella suddivisione, uomini e caporali, gli veniva da Dante, che nel canto V del Paradiso ha scritto: “uomini siate e non pecore matte. ” E io dico: uomini siate e non dei caporali” concludeva Totò.” “Totò ha scritto più di 70 canzoni, anche se tutti ricordano quasi esclusivamente Malafemmina, che ebbe come primo interprete, nel 1951, Giacomo Rondinella, uno dei preferiti di Totò. La destinataria della canzone era la moglie Diana Rogliani, che dopo 20anni di tormentata unione aveva deciso di lasciarlo definitivamente, addirittura risposandosi. Totò la scrisse di getto su un pacchetto di sigarette Turmac, uno dei 4 che riusciva a fumare ogni giorno, oltre ai 15 caffè, prima che una grave malattia lo costringesse a rinunciarvi del tutto. Nel 1977 Franca Faldini, che gli è stata compagna dal 1952 al 15/04/1967, giorno della morte di Totò, ha pubblicato una seconda raccolta di poesie del principe: Dedicate all’amore, introdotta da una dichiarazione che Totò aveva scritto per lei: “cara Franca, i tuoi magnifici occhi che tanto mi piacciono e che amo mi hanno ispirato i versi che ti dedico perché ti appartengono”.
“Nel 1956 Totò ha nostalgia del teatro. Infatti accetta la proposta dell’impresario Remigio Paone che lo riporta in tournèe con la rivista A prescindere. Ma si ammala di una polmonite che cura poco e male per non far saltare lo spettacolo e , nella primavera 1957, a Palermo, per le conseguenze della malattia diventa cieco in scena. Franca Faldini riporta Totò quasi cieco a Napoli, via mare. L’angoscia della malattia è peggiorata da un’amarezza inaspettata: l’impresario dello spettacolo, Remigio Paone, suo grande amico, lo sottopone a visita fiscale, nel tentativo di non perdere neanche una replica. E’ naturalmente la fine d’una amicizia con colui che Totò aveva fino ad allora considerato “un gran signore”. Ecco perché l’annuncio che i produttori vogliono Totò in un film, nell’ottobre 1957, è salutato dall’attore come “la vera medicina”. E torna alla vita con Totò, Vittorio e la dottoressa, che egli crede sarà uno dei suoi ultimi film. Invece, nel 1957, Totò è solo a metà della carriera, girerà ancora 40 film che lo porteranno a ricevere premi e riconoscimenti. Fuori scena l’attore teneva sempre occhiali neri, diceva: “porto i paraocchi, come i cavalli!!!” e “ci vedo a orecchio!!”, ma non aveva accettato di presentarsi ai teatri di posa sottobraccio alla compagna o alla figlia. Diceva ” Hai mai visto un impiegato sofferente che si porta la famiglia sul lavoro?” Infatti lui si considerava un impiegato della risata: “c’è chi fa il chirurgo, chi il manovale, chi l’amministratore delegato. Io sono diventato attore e al posto d’una tuta, d’un camice o d’un doppio petto indosso Totò.”
“Il culto di Totò in televisione si è diffuso dopo la sua scomparsa: i suoi film vengono trasmessi al ritmo di uno al giorno e sono numerosi i programmi a lui dedicati. Tra i più seguiti si ricorda Caro Totò, ti voglio presentare, condotto nel 1992 su Rai Uno da Renzo Arbore in occasione del 25esimo anniversario della morte.” “Totò apprezzava, con sentimenti di rispetto, tutta la famiglia De Filippo, ma con uno di loro aveva un rapporto di affettuosità condita di irriverenza. Era Pasquale De Filippo, cugino dei famosi fratelli, considerato una pecora nera. Pasquale si dichiarava attore ma per vivere, oltre a tentar di vendere penne stilografiche, faceva il giocatore professionista. Spesso partecipava amichevolmente ad accanite partite di scopone in casa di Giacomo Furia. Lo stesso Furia ricorda: “una notte alle 3 squillò il telefono. Pronto, qui è la Questura, abbiamo saputo che state gestendo una bisca clandestina!! Poi una risata mi liberò dall’incubo.” Era Totò: “giacumì, state ancora giocando? Volevo sapere come se la cava Pasquale!” Il principe non aveva gran fiducia nel giocatore!!”
“Osvaldo Natale, in arte Dino Valdi, è stato per 20 anni, grazie alla singolare somiglianza, un perfetto “doppio” di Totò, legato a lui anche da grande amicizia. Imitava così bene Totò che nel 1947 fu chiamato come controfigura dell’attore durante la lavorazione dei Due orfanelli. Da quel momento il comico e il suo doppio non si lasciarono più!” “La figlia racconta che Totò ebbe un ritmo frenetico nel fare film dal 1958 in poi perché alle sue normali spese si aggiunse un debito col fisco di 400 milioni di lire (207.000 euro), contratti inconsapevolmente per colpa di un commercialista incapace. Ebbe la rateizzazione della cifra, ma per pagarli era costretto a lavorare senza sosta. Si accontentava di compensi modesti pur di realizzare guadagni immediati, sostenendo che i soldi li preferiva “pochi, maledetti e subito”.
“Durante la malattia il principe e Franca Faldini avevano preso una casa nella Svizzera italiana, a Lugano. Passati i tempi tristi, la predilezione per la quiete del lago e per il Canton Ticino era rimasta. Entrambi accarezzavano il pensiero di trasferirsi stabilmente in Svizzera. L’intenzione dipendeva molto dal fatto che il principe soffriva, da tempo, per una pressione fiscale che gli sembrava eccessiva e gli faceva addirittura paura durante la malattia, convinto com’era che non avrebbe più lavorato e sarebbe stato ridotto sul lastrico. Nel Ticino si trovava bene e vi trascorreva lunghi periodi, ricorda Franca. Gli piacevano la serenità del paesaggio, la bonomia della vita, il fatto che si parlasse italiano e non si vedessero in giro animali maltrattati. Forse era troppo pigro, forse luoghi e conoscenti erano troppo importanti, forse in Svizzera mancava l’adorato mare, fatto sta che non se ne fece nulla: Totò non andò in esilio ma acquistò un appartamento a Roma, ai Parioli, dove vivrà circondato da Franca e da fidatissimi collaboratori, come il cugino Eduardo Clemente, segretario factotum, e Carlo Cafiero, l’autista.” “Nel 1955, al culmine del successo, Renato Libassi, amministratore del principe, ebbe un’idea che pareva buona: far produrre direttamente da Totò i suoi film. Nacque così, con il coinvolgimento dell’ex socio di Ponti, la società D.D.L. (De Curtis - De Laurentis - Libassi). La casa di produzione durò fino al 1960, ma Totò ne era uscito quasi subito. Aveva scoperto che, come imprenditore, non percepiva stipendio. “E chi mi paga?” , chiedeva sgomento ai soci. “Come, chi ti paga? I produttori siamo noi. I guadagni dipendono dagli incassi!” . La prospettiva aveva sconvolto l’attore, che si considerava un impiegato dello spettacolo e si aspettava per ogni prestazione un introito garantito e prestabilito. La società continuò senza di lui.” “Ho fallito, morirò dimenticato. Nessuno mi ricorderà: è una frase che Totò disse poco prima di essere ucciso da una scarica di infarti.” “Il principe amava dire: “resto napoletano con tutti i pregi e i difetti del napoletano. Vivo a Roma ma non mi sento romanizzato nelle abitudini. Ogni 15-20 giorni torno a Napoli per un breve soggiorno, non posso stare più a lungo lontano dalla mia città; la gente di là mi dà il calore della vita. E ogni volta mi commuovo come un bambino!”.
“Totò aveva iniziato a recitare giovanissimo nelle cosiddette Periodiche, intrattenimenti che si tenevano la domenica nelle famiglie napoletane e si faceva particolarmente apprezzare per le imitazioni del fantasista Gustavo De Marco, che lo incantava con la sua mimica e con i movimenti snodati a marionetta. Ripetendone le mosse, Totò si esibiva nei teatrini in legno che a Napoli si assiepavano nella zona della ferrovia. Cominciò a recitare con lo pseudonimo di Clerment, storpiatura del suo cognome: Clemente. A 15 anni, per sopravvivere, si guadagna il salario come imbianchino, dal momento che il teatro gli procurava solo pochi spiccioli e anche poche soddisfazioni.
Solo quando nel 1922, dopo un periodo di inattività a causa
dell’arruolamento, Totò salirà a Roma, con un viaggio di 7 ore, quegli incerti
primi passi diventarono una marcia trionfale. L’attore si aiutò vantando con gli
impresari inesistenti successi di pubblico e di critica. Con le sue millanterie
ottenne un’importante scrittura, che perdette quasi subito perché aveva preteso
d’esser pagato, e poi la possibilità di proporre al pubblico del Teatro
Jovinelli le imitazioni de De Marco. Un successo strepitoso: a Totò fu concesso
il nome sui manifesti!” “Un sodalizio breve, quello fra Totò e Sergio Corbucci, 7 film!, ma senza attriti professionali e cementato da un grande affetto che induceva il principe de Curtis a confidenze mai concesse a nessuno. A lui solo l’attore rivelò il contenuto di 2 borse militari, in tela grigio-verde, che portava sempre con sé durante i viaggi in treno da Roma alla Costa Azzurra. Il principe teneva ancorato a Montecarlo il suo yacht, ma per mare andava solo la sua compagna, Franca Faldini. Totò stava su una nave solo se rimaneva in vista della costa, e di salire su un aereo non si parlava nemmeno! Si fidava solo del treno, ma sulla linea di Ventimiglia c’erano, per i suoi gusti, troppe gallerie. E nelle custodie grigio-verdi portava maschere antigas, perché aveva paura di eventuali fermate in galleria. La prima volta che s’incontrarono, Totò e Corbucci, il principe fissò l’appuntamento alle 3. Ma non del pomeriggio: alle 3 di notte!! A quell’ora Totò, abituato ai ritmi del teatro, era sveglissimo. Andava volentieri a letto all’alba, comunque mai prima delle 4, per svegliarsi dopo mezzogiorno. Difatti era solito dire: comincio a girare alle 14, perché prima non riesco a fa ridere. Sono ancora troppo addormentato. E non era solo una battuta: l’inizio delle riprese nel pomeriggio era una clausola che Totò faceva spesso inserire nei contratti.”
“Macario ricordava: si recitava a braccio fino alle 19. Alle 19, infatti Totò smetteva. Non c’era verso di fargli prolungae l’orario di lavoro: puntualissimo nell’arrivare, altrettanto lo era nell’andarsene. Più che stanco, Totò era semplicemente rigoroso: sul set si riteneva un impiegato e, timbrato il cartellino come attor comico, non intendeva fare gli straordinari.” “In un‘intervista a Oriana Fallaci aveva ammesso francamente: sarà che sono meridionale, sarà che odio gli uomini, ma le donne, secondo me, sono la cosa più bella che ha inventato il Signore…Adesso riesco a essere fedele. Prima No. L’uomo è poligamo: scusi lei ha mai visto 10 galli con 10 galline? Io No. Io ho visto sempre 10 galline e 1 gallo solo. Però se fossi musulmano!… Franca Faldini dice che in casa sapeva assumere, soprattutto se contrariato, atteggiamenti da Gran Turco e che, in definitiva, il suo ideale era la donna oggetto. Ma Totò era anche geloso. Sempre la Faldini racconta: nei confronti dell’altro sesso Totò nutriva una decisa diffidenza. In tutte noi, nessuna esclusa - sosteneva - albegava lo spirito d’una sgualdrina. Farlo affiorare era solo questione di tempismo. E si dichiarava convinto che la resa di una donna perbene fosse molto più facile di quella di una donna di mondo!”
“Sul set del film I due Colonnelli nacque una forte amicizia fra il principe e Nino Taranto, che giunse a dire: Noi saremo amici per tutta la vita, e oltre! La frase non era retorica: Nino, scomparso l’amico, diventò il custode della tomba di Totò. E venne sepolto a poca distanza da lui, secondo il suo ultimo desiderio. Nino Taranto durante le lavorazioni con Totò era frenato nella sua espansività da una sorta di timore reverenziale, che lo portò per tutta la vita a rivolgersi a Totò dandogli del lei.” “Sin da quando, in teatro, aveva avuto diritto al camerino, Totò lo aveva ribattezzato il pensatoio, perché era il luogo in cui si concentrava sulla parte da recitare. Attrezzato con un divano, il camerino veniva utilizzato, dicevano le malelingue, anche per diverse e più divertenti attività. Se è vero, va detto che mai Totò vi si chiuse con ragazze men che consenzienti e, soprattutto, che non mantenne l’abitudine dopo la tragedia di Liliana Castagnola, la diva morta suicida per amor suo.” “L’elenco delle superstizioni in cui Totò credeva è sterminato: odiava il 13 e il 17 e non accettava negli alberghi le camere 12 e 16 bis. Non partiva né di martedi né di venerdì. Detestava il viola. Girava i tacchi d’avanti a qualsiasi bestiola di pelo scuro, prima ancora di aver capito se fosse un gatto nero. Non amava le barzellette ma questa gli piaceva: Un signore ha paura di volare e per convincerlo a prendere l’aereo cercano di spiegargli che ognuno ha il suo destino. Muori solo se è arrivato il tuo giorno! Già, obietta il signore, e se è arrivato il giorno del pilota?!!! Ma Totò non la raccontava come spiritosaggine bensì per chiarire il suo pensiero sul volo: non salì mai su un aereo!”
|
^Top |
| Home | Biografia | Locandine | Film cinema | Film montaggio | Film TV | Fumetti | Foto | Teatro | I nomi | Le spalle | |
| 'A livella | Poesie | Home video | DVD | Critica | Canzoni | Desktop | Cartoline | Libri | Il baule di Totò | I santini di Totò | |
IL PIANETA TOTO' - www.antoniodecurtis.org Portale
dedicato interamente ad Antonio De Curtis > contatti <