Totò, Vittorio e la dottoressa
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Film in B/N durata 90 min. - Incasso lire 572.700.000 (valore attuale € 13.688.013,53) Spettatori 3.760.000 Video-clip 37 sec. "Totò, Vittorio e la dottoressa" 1957 di Camillo Mastrocinque. Soggetto e Sceneggiatura Metz, Marcello Marchesi. Produttore Dario Sabatello per Jolly Film (Roma), Gallus Film (Parigi) e Fenix Film (Madrid). Direttore della Fotografia Gabor Pogany, Alvaro Mancori, Manuel Berenguer. Musiche Carlo Innocenzi, Montaggio Roberto Cinquini e Juan Pison, Sceneggiatore Piero Filippone e Gianfranco Cuppini, Direttore di Produzione Franco Serino, Aiuto Regista Leon Lenoir, Fonico Vittorio Trentino. Interpreti: Totò (Michele Spillone), Vittorio De Sica (marchese De Vitti), Abbe Lane (Brigitte Baker), Titina De Filippo (madre di De Vitti), Agostino Salvietti (Gennaro), German Cobos (Otello Bellomo), Pierre Mondy (Romeo), Rafael Bardem (professor Vagoni), Franco Coop (maitrè), Dante Maggio (cameriere), Tecla Scarano (zia Ada), Amelia Perrella(zia Ada), Darry Cowl (Egisto), Teddy Reno (se stesso), Luigi Pavese (capo investigatore), Benedetta Rutili (infermiera), Arturo Bragaglia (signore al comizio ), Gianni Partanna (cliente del night), Giulio Cali (un malato), Amedeo Trilli (un malato). Trama: Otello Bellomo e la dottoressa americana Brigitte Baker si incontrano ad una riunione di lavoro, si innamorano e si sposano. Le zie di Otello che non conoscono la professione di Brigitte, trovando strano il suo comportamento, la fanno pedinare da due investigatori (di cui uno è Totò) completamente inesperti. Quando il marchese De Vitti viene ferito da un contadino e chiama il dottore, scopre che il dottore è una bella dottoressa e incomincia subito a farle la corte sfidando le ire materne. I due investigatori pensano che si tratti di adulterio, lo riferiscono alle zie che minano la fiducia che il nipote ha per la moglie inducendola a seguirla. Ben presto l'adulterio viene scoperto, i due sposi fanno la pace, i due investigatori licenziati. |
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Critica: E' il film che segna il ritorno di Totò al cinema dopo una breve parentesi teatrale ma soprattutto dopo la grave malattia agli occhi che lo fa rimanere in casa per sette lunghi mesi. In questo periodo di crisi del cinema italiano vanno di moda le coproduzioni internazionali, questo infatti è una coproduzione italo-franco-spagnola. Ma Totò è visibilmente stanco e malato, e la critica fu impietosa.
Scriveva Franco Maria Pranzo: Rieccoci al film con Totò. Benvenuto Totò , ci hai fatto ridere, ci hai divertito. Rivederti nei panni del poliziotto è stato un vero piacere. Ad majora dunque. Ma il film, scusaci Totò se usiamo una tua vecchia battuta di commento, è una vera "ciofeca". Una di quelle "schifezze" che piacciono al pubblico, e modestia a parte , anche a noi [..].
E dal Giorno un articolo senza firma : "Nel filmetto che [..] è interpretato da Totò un pò stanco [..] si possono ascoltare tre o quattro battute di una rara grossolanità. Davvero allegra la nostra censura ".
Il film, che si svolge in una Napoli astratta, senza dimensione, dove tutti parlano un italiano perfetto e si muovono in modo non caratterizzato, è irrimediabilmente infarcito dl sketches da teatro di quarta categoria, senza logica e senza intreccio. Tutto è lasciato andare, minuto dopo minuto, per permettere a Totò e alla sua spalla Agostino Salvietti di interpretare qualche pezzo da un repertorio vecchio e scontato. La solita sceneggiatura di Metz e Marchesi con una svogliata regia di Mastrocinque, non elevano il film nemmeno al livello di una dignitosa farsa.
Schiacciato al rango di macchietta, Totò, sempre con grandissima padronanza, gioca sulla solita deformazione del linguaggio, con sèdano per siedano, sotto semaforo per sotto metafora, parocchia per parecchi, Corea per correa, metro per maitrè, fotografi per fedigrafi, ecc. In un'altra scena (plagiata da "Fifa e arena", "Totò le Mokò" e poi in "Totò sexy"), vestito da cameriere, è invitato ad un tavolo perchè non funziona il sifone del seltz e lo fa funzionare senza toccarlo facendo "psss". Alla meraviglia dei presenti, si giustifica dicendo: me lo ha insegnato la mia mamma da bambino.
In questo genere di film Totò si limita ad esaurire tutta la recitazione all'interno del carattere, non potendone uscire in alcun modo; si tratta, infatti, di puro avanspettacolo filmato, un canovaccio alla Ridolini, come la scena del ristorante, dove i due si travestono da camerieri, creando una baraonda immotivata o quella finale della fuga per l'ospedale accompagnata da adeguata marcetta. Ciò nonostante, Totò conferma le sue qualità di clown Augusto, ben evidenziate, in tutte le scene in coppia con il vecchio e appesantito Agostino Salvietti (clown bianco).
Già dal primo fotogramma, quando entra in scena, lo vediamo con la bombetta sulla testa, ultimo residuo della sua "maschera" primordiale, alla quale si collega tutto il recitativo del film, che è anche una parodia di un certo cinema giallo americano (non a caso il personaggio si chiama Michele Spillone, deformazione di Mike Spillane).
A confronto con i due film precedenti, sempre diretti da Mastrocinque, nei quali le sue qualità di clown Augusto, in coppia con Peppino, emergevano in forma evidente e creativa, qui risultano soffocate e rimpicciolite da una spalla poco adeguata, che lo costringe praticamente a recitare da solo.
Utilissimo il confronto tra i duetti Totò-Peppino e quelli Totò-Salvietti, perchè permettono di capire più in profondità quanto per Totò fosse determinante, per l' effetto finale, recitare con attori che sapessero sfruttare al massimo le sue qualità recitative, fortemente collegate alla commedia dell'arte. Tratto da "Totò principe clown" di Ennio Bìspuri per gentile concessione |
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