L'imperatore di Capri

 

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Film in B/N durata 90 min.  -  Incasso lire 436.500.000  (valore attuale € 16.528.925,61)  Spettatori 4.456.000

"L'imperatore di Capri" 1949 di Luigi Comencini. Soggetto Teresa Ricci Bartoloni, Gino De Santis. Sceneggiatura Vittorio Metz, Marcello Marchesi, Luigi Comencini. Produttore Carlo Ponti per Lux Film, Direttore della Fotografia Giuseppe Caracciolo, Musiche Felice Montagnini, Montaggio Otello Colangeli, Sceneggiatore Carlo Egidi, Direttore di Produzione Clemente Fracassi, Aiuto Regista Galeazzo Benti e Paolo Heusch, Fonico Kurt Daubrawsky.

Interpreti: Totò (Antonio De Fazio), Laura Gore (sua moglie), Pina Gallini (sua suocera), Yvonne Sanson (Sonia), Marisa Merlini (baronessa von Krapfen), Alda Mangini (Emanuela), Nero Bernardi (Osvaldo), Mario Castellani (Asdrubale), Nino Marchetti (il profeta), Galeazzo Benti (Dodo), Lino Roby (Rasilio), Enrico Glori (il maggiordomo), Aldo Giuffrè (il Bey di Agapur), Gianni Appelius (Rubi), Toni Ucci (Pupetto Turacciolo ).

Trama: Antonio De Fazio cameriere in un albergo di Napoli viene scambiato, dall'avventuriera Sonia, per il Bey di Agapur. Fuggendo dalla moglie va a Capri e le sue involontarie stranezze lo rendono attraente agli occhi dei villeggianti che lo imitano e lo proclamano Imperatore di Capri. Quando arrivano la moglie di Antonio ed il nero Bey, Antonio salva quest'ultimo da un attentato guadagnandosi così una collezione di pietre preziose.

 

 

Film completo: L'imperatore di Capri

Critica: Totò fece la fortuna della Lux e del produttore Carlo Ponti con questo film a basso costo che rese tanti milioni e pareggiò gli ammanchi causati da altre produzioni fallimentari. A dirigerlo un giovane alquanto promettente, Luigi Comencini.

Unico film diretto da Comencini (alla sua seconda prova, dopo "Proibito rubare" del 1948), si ricollega in modo vistoso al filone farsesco, tendente a valorizzare, senza alcuna operazione di cambiamento, la primitiva maschera di Totò, che qui infatti appare con il suo consueto costume di scena (frac e bombetta).
Del resto Comencini parlando del film comico, e trascurando gli esiti complessivi dell'interessante e realistico "Totò cerca casa", aveva dichiarato esplicitamente: "Il film comico è espressione pura del teatro di rivista, su cui il Neorealismo non ha influito".
Il film, che risente fortemente dell'influsso teatrale e della comicità surreale ed esagerata tipica di Metz e Marchesi, è limitato dalla ricerca ossessiva di sketches e di trovate per lo più banali, costruite intorno al protagonista, ancora una volta (come già in "Animali pazzi", "L'allegro fantasma", "I due orfanelli", "Fifa e arena" e "Totò le Mokò") scambiato per un altro. Qui è il povero cameriere Antonio De Fazio che viene scambiato per il bey di Agapur: il canovaccio è sempre lo stesso, ma evidentemente il meccanismo funziona e il pubblico si diverte.

Totò è dunque prigioniero del tessuto narrativo che lo vuole irrigidito nella "marionetta" e agisce solo per dar pretesto a doppi sensi e battute; l'Artista si muove da vero principe, senza risparmiarsi, in un'orgia di battute e di situazioni che gli derivavano dal teatro di rivista, e che richiamano con evidenza "Animali pazzi", come tutto l'episodio del serpente trovato nella doccia, il telefono e sul cappello, il seltz che schizza dall'altra parte del telefono, le strusciate dei piedi sul pavimento (due volte) e poi l'intera sequenza di humour nero con la baronessa von Krapfen, la banalissima corsa del motoscafo impazzito, il bagno in mare vestiti ecc.

Sul piano linguistico, oltre alla presenza, ormai irrinunciabile, delle solite espressioni come: a prescindere, aufwiedersehen, escusmi, esoso! , perbacco e anche perdinci, checche, fa d'uopo, ce ne sono altre di indubbio effetto, come sono un uomo di mondo: ho fatto tre anni di militare a Cuneo, che verrà ampiamente ripresa e sviluppata in "Totò a colori", o l' altra, molto più rilevante, Siamo uomini o caporali? , già presente in "Totò le Mokò" e qui pronunciata una prima volta nel corso del film e una seconda all'ultima inquadratura, quasi a dare significato all' apologo.

Altre battute sono sciatte e di origine rivistaiola come quella rivolta alla schiava: Come si chiama? -Elena di Troia -Troia... Troia... questo nome non mi è nuovo. Oppure, sempre chiedendo di due schiave: E queste chi sono? -Sono due persiane, accosta una all'altra e poi dice: ho accostato le persiane. O ancora, sbarcando nell'isola che appare deserta: Isolani... Isolisti, fermo con le mani (che ricorrerà spessissimo in molti film), ti devi futilizzare o l'altra, più intelligente, rivolta al maìtre dell'Hotel che lo chiama Altezza, Un metro e sessantacinque.

Tutta la "zona" costituita dagli snob capresi e Galeazzo Benti sono un'anticipazione incredibile di scene analoghe di "Totò a colori", che si svolgono sempre a Capri e che costituiscono un vero e proprio plagio sia nelle battute sia nelle situazioni e persino nell'intonazione della voce e nei nomi (Dodo/Poldo).

Tratto da "Totò principe clown" di Ennio Bìspuri per gentile concessione


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