PIER PAOLO PASOLINI

PER UN CINEMA IDEOLOGICO E SURREALE  a cura di Lorenzo Mirizzi

 
 

« Io amo il cinema perché con il cinema resto sempre a livello della realtà. E’ una specie di ideologia personale, di amore nel vivere dentro le cose, nella vita, nella realtà ». PIER PAOLO PASOLINI


Pier Paolo Pasolini arriva a Roma agli inizi degli anni ’50 dopo aver vissuto varie vicissitudini a Casarsa, luogo in cui fino a quel momento aveva lavorato come poeta prima e pittore poi.

La sua è stata una vera e propria fuga dai problemi familiari, economici e di emarginazione legati alla sua omosessualità. A Roma entra in contatto con l’ambiente del cinema grazie a Mario Soldati.

Dapprima lavora come attore-comparsa, poi come soggettista e sceneggiatore. Completamente impreparato tecnicamente, nel 1960 matura la decisione di diventare egli stesso regista: << Se mi sono deciso a fare dei film- afferma- è perché ho voluto farli così esattamente come scrivo delle poesie, come scrivo i romanzi>>.

 

Il suo bisogno nasce principalmente dall’intenzione di voler parlare in un codice diverso: parte dalla consapevolezza della grande crisi storica, sociale e culturale del nostro paese e trova nel codice audiovisivo del cinema il mezzo migliore per poter esprimere poeticamente i suoi temi fondamentali.

 

 

Per Pasolini il cinema è strettamente legato alla realtà, ma ciò non deve essere inteso in senso naturalistico. Il suo cinema ha connivenze con la poesia e l’astrazione tanto che lo definirà "cinema di Poesia".

Egli, infatti, ci propone attraverso una <<sistemazione teorica subspecie semiologica del nuovo cinema in Italia>> , una distinzione sostanziale tra "cinema di prosa" che si identifica nel cinema classico, e "cinema di poesia" in cui l’autore-regista svolge un ruolo predominante, esibendo i propri mezzi stilistici.

Alla luce di tutto questo, definisce il cinema "lingua scritta dell’azione" poiché il regista a differenza dello scrittore non ha un dizionario al quale attingere e inevitabilmente per poter comunicare dovrà cogliere i segni della realtà che lo circonda. Ma c’è di più: noi tutti viviamo immersi in un mondo in cui vi sono immagini significanti, quelle che Pasolini definisce im-segni, e compito del regista, quindi, è quello di cogliere i suoi im-segni dalla realtà.

 

Totò e Pier Paolo PasoliniInteressante è, in quest’ottica, andare ad analizzare i criteri di scelta degli attori del regista bolognese.
<<Io ho una specie di idiosincrasia per gli attori professionisti. Non ho, però, sia ben chiaro, una prevenzione totale, e ciò perché non voglio sottoporre la mia attività a delle regole precise […] La mia idiosincrasia dipende dal fatto che, un’attore professionista è un’altra coscienza che si aggiunge alla mia>>.


Sicuramente si può dire che Pasolini nella scelta degli attori dei suoi film abbia avuto una certa propensione per la non professionalità: ma tale scelta rientra nella concezione tutta pasoliniana del cinema come esperienza poetica volta a superare costrizioni o regole di ogni sorta.

 

<<L’autore deve essere l’unico protagonista con la sua poesia in forma di cinema e lo spettatore deve essere in grado di coglierla. In questo contesto Pasolini chiede ai propri attori non una collaborazione, ma un totale abbandono, di modo che possa plasmare le figure presenti nel film secondo la propria visione>>. Da ciò deriva che un attore professionista , essendo di fatto meno "plasmabile" in relazione alle scelte dell’artista-poeta, mal si adatta al cinema di poesia.

 


Nonostante questo, Pasolini, in molti dei suoi film ha lavorato con attori professionisti: ricordiamo la Magnani in Mamma Roma (1962), Silvana Mangano e Massimo Girotti in Teorema (1968), Maria Callas in Medea (1969), Orson Welles in La Ricotta (1963). C’è da dire che perlopiù sono state scelte imposte dai produttori che egli non ha gradito molto.


 

Un discorso a parte va certamente fatto per la scelta di Totò in Uccellacci e Uccellini (1965). Lo stesso Pasolini afferma: <<La mia ambizione era proprio quella di strappare Totò al codice, cioè decodificarlo. Qual’era il codice attraverso cui si poteva interpretare Totò allora?

Era il codice del comportamento dell’infimo borghese italiano, dell’infima borghesia portata alle sue estreme espressioni di volgarità e aggressività [..] Il mio Totò è quasi tenero e indifeso come un implume, è sempre pieno di dolcezza , di povertà fisica, direi, non fa le boccacce dietro a nessuno>>.

 

Pasolini realizza una vera e propria trasformazione di Totò-attore non senza polemiche. Totò, come uomo, risultava un piccolo borghese, ma come artista era inscindibile dalla cultura napoletana sottoproletaria. Egli portava in scena una sorta di cliché di se stesso, il clown, la maschera.

Ed è stata proprio questa doppia natura di sottoproletario e insieme semplice clown ad aver spinto Pasolini alla scelta di Totò. Coerente alla sua visione del cinema, il regista bolognese, ha scelto Totò per come esattamente è, alla stessa maniera di come avrebbe preso un non professionista (elemento che è possibile rilevare nella scelta di Ninetto Davoli). <<Quindi quando dico Totò nella sua realtà intendo Totò nella sua realtà di uomo, e aggiungo anche di attore>>.

Totò attraverso la collaborazione con Pasolini, dimostra di essere un grande attore: viene chiamato a un ruolo che riesce a svolgere con grande maestria; la stima reciproca che si stabilisce tra attore e regista, farà si che dopo Uccellacci e Uccellini del 1965, Totò torni a lavorare con Pasolini anche in altri due episodi, La terra vista dalla luna e Che cosa sono le nuvole? rispettivamente relativi ai film Le streghe e Capriccio all’italiana nei quali interpreterà, ancora una volta, ruoli impegnativi e problematici.


 

 


3.1 Uccellacci e uccellini

Subito dopo il gran successo di pubblico su scala internazionale de Il Vangelo secondo Matteo, nell’Aprile-Maggio del 1964 Pasolini ritorna all’opera pubblicando, sul settimanale "Vie Nuove", un soggetto cinematografico strutturato in tre principali episodi, intitolati: L’Aigle, Faucons et Moineaux e le Corbeau. Si tratta di tre favole, ognuna con un tema diverso.

L’Aigle racconta di un domatore francese (Monsieur Courneau) che cerca di ammaestrare un’aquila senza riuscirvi: la chiave di lettura di tale episodio è da ricercare nelle critiche che precedentemente erano state mosse, al Vangelo, da Michel Cournot, intellettuale francese e critico della Nouvelle Vague. Nell’episodio Cournot è il domatore esasperato e, l’aquila è il "Terzo mondo", l’irrazionalità che non si lascia "civilizzare" dall’intellettuale laico, convinto che tutto ciò che è difforme debba essere assimilato in relazione ai propri parametri.

In L’Aigle, Pasolini mette a confronto la razionalità e la magia, elementi che si traducono nell’incontro-scontro tra la cultura moderna e la cultura "preistorica" del Terzo mondo. Come afferma Serafino Murri, Pasolini in questo periodo <<sembra essere mosso da un terzomondismo un po’ guevariano un po’ sartiano>>.


Faucons et Moineaux parla di due fraticelli impegnati, su ordine di S. Francesco, a convertire falchi e passeretti alla parola di Dio; riusciti in un primo momento nell’intento rimangono sbalorditi di come poi, nonostante tutto, i falchi continuino a predare i passeri e come nulla possano fare per evitarlo.
Le Corbeau racconta, invece, le vicissitudini di padre e figlio che camminano verso non si sa dove accompagnati da un corvo filo-marxista molto loquace.

 

 


Pasolini realizza tutti e tre gli episodi succitati, ma, in sede di montaggio, decide di eliminare il primo e di incorporare il secondo nel terzo come un racconto proferito durante il viaggio dal Corvo.

La presenza di Totò ha grande rilevanza nell’intero film: da Pasolini viene utilizzato nei tre episodi come domatore-frate anziano e padre viandante.

 

Nei primi giorni di lavorazione di "Uccellacci" dilagava una perplessità reciproca tra Totò e Pasolini. Da un lato Totò, a riprese del film inoltrate, non riusciva a capire bene quali fossero le reali intenzioni dell’autore, dall’ altro Pasolini faceva fatica a contenere la personalità dell’attore dal quale non riceveva quel totale abbandono che richiedeva.

La stima reciproca che legava i due fece sì che i lavori proseguissero senza intoppi: la situazione migliorò nel corso delle riprese e il film fu terminato.

 

Innocenti Totò e Innocenti Ninetto, padre e figlio, camminano lungo una desolata e anonima periferia. Entrano nel baretto di una stazione delle corriere. Totò beve qualcosa, Ninetto si scatena con alcuni ragazzi in un ballo moderno suonato dal juke-box.

Se ne vanno. Davanti ad una casa è radunata una piccola folla dall’aria mesta. Totò si ferma incuriosito a guardare. Ninetto va ad incontrare una ragazza, che trova vestita da angelo, mentre si sta preparando a una recita religiosa. Poi torna dal padre, insieme al quale assiste ad uno spettacolo terribile: vengono trasportati in quel momento fuori dalla casa i cadaveri di due coniugi, suicidi, si sussurra nella folla, per disperazione.

 

 


Camminando su un’autostrada in costruzione, padre e figlio incontrano un corvo parlante, che chiede se può accompagnarli nel loro viaggio. Totò e Ninetto accettano la compagnia del corvo, che da questo momento comincia ad assillarli di domande.

L’istinto pedagogico spinge il corvo a raccontare un apologo cristiano-marxista: la storia di uccellacci e uccellini.

 

Secolo XIII. Campagna umbra. Totò e Ninetto sono frate Ciccillo e frate Ninetto. S. Francesco li incarica di evangelizzare gli uccelli. I due frati si incamminano e trovano per primi i falchi.Frate Ciccillo dopo vani tentativi, riesce a trovare finalmente il modo di comunicare con loro. I falchi lo capiscono. Poi tocca ai passeri. Saltellando nel loro linguaggio, Frate Ciccillo predica la pace e l’amore.

 

La missione è compiuta ma all’improvviso un falco assale e uccide un passero sotto gli occhi increduli dei due fraticelli. Tornano da S. Francesco sconfitti e delusi ma il Santo, dopo averli incoraggiati, li invita a ritentare e a riprendere il cammino. Totò e Ninetto continuano a camminare e incontrano nuove avventure.

Trasgrediscono le leggi della proprietà privata, assistono allo spettacolo di una troupe di saltimbanchi e, arrivati davanti a un povero casolare, Totò, per nulla impietosito dallo spettacolo di miseria che gli si presenta davanti, minaccia di sfratto i suoi poveri inquilini che da tempo non pagano l’affitto. Subito dopo Totò e Ninetto giungono in una lussuosa villa per un colloquio con un ingegnere col quale i due hanno dei debiti. Anche qui l’ingegnere non si fa impietosire e gli aizza i cani contro.

 

 


Il corvo, assistendo a tutti questi avvenimenti, puntualmente li commenta, con il suo consueto e tedioso moralismo marxista. Totò e Ninetto prendono l’autobus e vanno a Roma dove assistono ai solenni funerali di Togliatti.Lungo la strada incontrano una prostituta, Luna, con la quale fanno l’amore a turno in un campo. Il corvo continua a parlare mentre Totò e Ninetto, stufi e affamati, lo ammazzano e lo mangiano.

Riprendono il cammino. Si allontanano di spalle lungo una strada bianca come nei finali delle comiche di Charlot.

Uccellacci e uccellini s’inserisce in una fase dell’ attività artistica di Pasolini che potremmo definire del "cinema ideologico", di cui avevamo avuto già prova ne Il Vangelo. Ma se in quello, l’attenzione era concentrata sull’ideologia cristiana (predicatoria oseremmo dire), "Uccellacci" è permeato di ideologia politica, legata al malessere di Pasolini per una società destinata alla deriva.

Tale concezione di cinema s’insinua in un periodo storico (la metà degli anni ’60) che vede la nascita dei cosiddetti "film della crisi" legati alla scomparsa di Togliatti. Il "cinema ideologico" di Pasolini fa da ponte tra la fase del "cinema di borgata" (che comprende Accattone, Mamma Roma e La Ricotta) e la fase del "cinema del mito"(che va da Edipo Re a Medea).

 

 


Nel film si avverte il profondo senso di disillusione che il regista prova nei confronti dei partiti marxisti, italiani e non. Infatti, come egli stesso ha affermato, non intende una crisi del marxismo, ma proprio una crisi dei partiti marxisti, per quanto questa distinzione sia lecita. Questa svolta ideologico-politica raggiunge il suo punto di maggiore espressione con la pubblicazione della raccolta Poesia in forma di rosa nella quale possiamo leggere affermazioni come: "La rivoluzione non è più che un sentimento".

 

Per Pasolini oramai sono passati i tempi in cui era possibile sperare in una rivoluzione e, "l’entusiasmo civile per la resistenza antifascista è oramai solo un ricordo".

 

La morte di tali illusioni coincide, nel film, con i funerali di Palmiro Togliatti: la morte di quell’ideologia che il leader del P.C.I. rappresentava. Pasolini monta materiale di repertorio, proponendo quindi i volti realmente disperati di chi assistette alle cerimonie. Senza dubbio, l’autore riesce a connotare di tragicità tale sequenza rendendola la parte più significativa e triste dell’intero film.

 

Di certo il suo pessimismo (perché è di pessimismo che si deve parlare), non è un "pessimismo cosmico leopardiano": spera, in cuor suo, che si possa prima o poi attuare quella "rivoluzione delle coscienze" che permetterebbe di capovolgere la situazione di impasse nella quale la società del periodo pare essersi adagiata.

 

Alla luce di tutto ciò, quindi, il regista bolognese arriva a Uccellacci e uccellini al termine di un processo ideologico individuale che lo vede ormai quasi rassegnato. Egli non può fare altro che constatare che la società che lo circonda è irrimediabilmente destinata ad assecondare il conformismo.

Tema centrale quindi è la denuncia alla dilagante omologazione a cui si sta assistendo che produce in Pasolini non solo una crisi ideologica ma anche una crisi espressiva.

 

Ed è proprio su questo che si avvertono le principali conseguenze: per comunicare decide di scegliere la favola, <<che è astorica per definizione>>, quasi a volersi astrarre dal contesto, allontanare dalla realtà.

 

Pasolini cerca, attraverso il cinema di utilizzare un linguaggio (cinema che egli stesso definirà "linguaggio della realtà"), più legato all’elemento visivo, più metaforico: che inevitabilmente paga dazio alla comprensibilità, ma che aggira l’omologante lingua della borghesia. Ed è per questo che "Uccellacci" di primo acchitto sembra di difficile soluzione, così pregno di metafore, sostrati ideologici e sottili ironie.

I protagonisti di questa "incomunicabilità" sono i protagonisti del film: Totò, Ninetto e il Corvo.
E’ facile rendersi conto di come in realtà non venga mai a crearsi un dialogo significativo tra Totò e Ninetto da una parte, e il Corvo dall’altra: sembrano parare lingue diverse. Totò e Ninetto sono i rappresentanti del proletariato, estranei alla storia e, <<Innocenti di cognome e di fatto, camminano ignari verso un avvenire che la dottrina comunista non è più in grado di delineare>>.
 


 


Ma i due protagonisti non hanno solo connotazioni negative, ma portano con sé un bagaglio di speranza: <<l’irrefrenabile vitalità di Totò e Ninetto è la sola via possibile per uscire dallo stato d’inerzia causato dalla predicazione ideologica affinché, nuovamente, fioriscano "i garofani rossi della speranza">>.

 

I due hanno fisionomie opposte e al tempo stesso complementari, rimandano a due differenti modi di essere e a due generazioni: il giovane e il vecchio, il romano e il napoletano, il cittadino e il campagnolo.
Pasolini decide di utilizzare Totò per cercare di sfruttarne il codice gestuale tipico della maschera comica: è evidente, in tal senso, l’intenzione del regista bolognese, di connotare di allegria e spensieratezza la figura del sottoproletario.

Il Corvo, invece, << viene da lontano, dal paese Ideologia, abitante nella città del futuro, in via Carlo Marx, al numero 70 volte 7, figlio del sig. Dubbio e della Sig.ra Coscienza>> . Ben presto ci rendiamo conto di come il Corvo possa essere considerato il protagonista implicito del film. E’ l’intellettuale marxista, l’incarnazione dell’ideologia, che sta attraversando una profonda crisi: una crisi che sta portando i sostenitori di tali ideologie a ripiegare in comportamenti sempre meno distinguibili da quelli dell’ "infima borghesia" a riprova della dilagante omologazione alla quale si sta assistendo.

E’ possibile identificare nelle spoglie del Corvo lo stesso Pasolini e la sua ideologia, anche se egli cercò, già in fase di realizzazione, di prenderne le distanze: <<Dovevo staccare il marxismo del Corvo dal mio, […] doveva essere cosciente della crisi del marxismo ma con delle ragioni che non fossero strettamente le mie>>.

Il Corvo è "cosciente" della sua fine e cerca di lanciare spunti per un ideologia che rinasca dalla fine del pensiero marxista ed è convinto al tempo stesso della sua "sconfitta pedagogica" nei confronti di Totò e Ninetto (elemento che ritroviamo in chiave metaforica anche nella sconfitta di frate Ciccillo nel suo tentativo di ammaestrare i falchi e i passeretti).

 

Il "racconto del Corvo", che è possibile considerare come il quinto mediometraggio di Pasolini, può essere interpretato, in chiave metaforica, come l’analisi del tema della lotta di classe, molto caro all’autore.

I falchi e i passeretti rappresentano gli sfruttatori e gli sfruttati: ma la connotazione favolistica del film porta, inevitabilmente a una semplificazione binaria del mondo con la distinzione dell’esistenza nel creato di buoni e cattivi, oppressori e oppressi. Ma la denuncia vera e propria nei confronti della società classista che va sviluppandosi, Pasolini la realizza in alcune sequenze centrali del film: Totò dapprima è oppressore nei confronti di poveri contadini, impossibilitati a pagare l’affitto e costretti a tenere a letto i propri figli poiché non possono dar loro da mangiare e, successivamente, è oppresso dai debiti con l’ingegnere e dai cani feroci dello stesso.

Il regista inserisce un nuovo concetto della lotta di classe che abbraccia non solo la dottrina marxista ma anche l’induismo e il cattolicesimo. Nell’episodio del proprietario pestato da Totò e Ninetto, Pasolini, attraverso le parole del Corvo ribadisce il dogma dell’abolizione della proprietà privata senza l’utilizzo della violenza: <<Bisogna sempre vincere con la non violenza, come Gandhi!, conciliando la rivoluzione comunista e il Vangelo>>.
 

Guardando il film in un’altra ottica, possiamo notare come si vengano a delineare due itinerari: quelli dei bisogni corporei e quelli degli aspetti fisici dell’esistenza.

 

Il primo è un percorso che passa dalle feci alla fame e al sesso, il secondo va dalla nascita alla miseria alla morte. In Uccellacci l’elemento della fisicità è ridondante, si esprime attraverso varie forme: dai dolori al ventre che spingono Totò e Ninetto a defecare, al parto "in diretta" dell’attrice durante lo spettacolo, all’aggressione subita dai pastori tedeschi, fino ad arrivare ai rapporti dei protagonisti con una prostituta e all’uccisione del Corvo.

<<All’astratto simbolismo delle parole del Corvo influenzate dall’ideologia si contrappone, l’impellente materialità del corpo proletario schiavo delle sue necessità>>.

Ma il viaggio dei protagonisti incrocia tantissimi altri elementi di forza metaforica: Totò e Ninetto percorrono una strada che simboleggia la loro vita, senza uno scopo, senza una destinazione.

Il contesto che li circonda è semidistrutto: vi regnano le macerie, createsi in seguito al crollo delle ideologie, che non lasciano speranze di ricostruzione e di rinascita. Il cielo di tanto in tanto è solcato da aerei rumorosissimi a riprova del crescente e "omologante" progresso al quale si sta assistendo e, gli autobus vengono continuamente persi a simboleggiare l’ormai svanita possibilità di rivoluzione.

Lungo le strade sterrate ritroviamo segnali impossibili (come Istanbul Km. 4.253 o Cuba Km. 13.257) attraverso i quali Pasolini fa sentire la presenza del Terzo Mondo e vie improbabili (come via Benito La lacrima Disoccupato o via Lillo Strappalenzuola scappato di casa a 12 anni) <<come lapidi alla memoria di personaggi che non ci sono più>>.

 

 

Con Uccellacci e Uccellini si chiude, per Pasolini, il sogno di poter parlare a tutti: adotta un linguaggio metaforico e al tempo stesso ironico,un’ironia che s’insinua nella narrazione stessa. Stilisticamente, il film rappresenta una vera e propria svolta nel cinema pasoliniano che fino a " Il Vangelo" era stato dominato da una mescolanza di elementi a volte anche contrastanti. <<In Uccellacci pervade l’ideologia, scompare il vezzo/vizio/virtù>>, che lascia spazio ad una surreale comicità.

In molti tratti del film la lingua e lo stile che vengono adottati sono quelli del cinema muto classico: ricordiamo la lotta tra Totò e Ninetto e i contadini del campo o, ancora, la battaglia a torte in faccia. Per Pasolini la vera comicità è quella del cinema muto: quella di Chaplin e di Keaton. Totò gli permette, in questo senso, di recuperare tale comicità, essendo per lo stesso regista <<il più vigoroso tra i mimi comici>> .

 


Ma Uccellacci ha anche connnivenze con "Francesco Giullare di Dio" di Rossellini nonostante Pasolini, constatasse che il neorealismo non doveva essere considerato come una <<rigenerazione>> del cinema ma come una vera e propria <<crisi vitale>>.


Pasolini definirà questo suo nuovo modo di fare cinema "cinema d’èlite": egli si rivolge non alla tipica èlite d’intellettuali ma ad un’èlite che è la massa che necessita di essere disomologata.

Con Uccellacci prende avvio una proficua collaborazione del regista bolognese con Ennio Morricone, il quale musicò buona parte del film e collaborò per molti altri film successivi. Oltre a realizzare un blues rielaborò due opere mozartiane tratte dal "Flauto Magico" (duetto Papageno-Pamina e Aria di Sarastro) e la canzone partigiana di origine russa, "Fischia il vento".

L’opera di Pasolini ebbe parecchi problemi dal punto di vista giudiziario. La censura ne vietò la visione ai minori di diciotto anni (solo in seguito si ebbe una riduzione del decreto ai minori di quattordici). Ma la critica più veemente venne proprio da quella sinistra italiana che non tollerò l’atteggiamento disfattista dell’autore e che portò a una completa rottura tra lo stesso Pasolini e il P.C.I.
Ma, quasi contemporaneamente, il film fu presentato a Cannes dove fu accolto con trionfo e dove Totò ricevette una menzione speciale per la sua interpretazione.

Da molti definito film unico della cinematografia italiana, Uccellacci e uccellini se pecca di qualcosa pecca di complessità ideologica, come afferma lo stesso Pasolini: <<L’atroce amarezza dell’ideologia sottostante al film […] ha finito forse col prevalere e, evidentemente […] tale amarezza mi ha impedito di vedere le cose e gli uomini con lo sguardo allegro e leggero del perdono>>.
 


Già durante le riprese di Uccellacci e Uccellini, Pasolini pensa alla possibilità di una nuova collaborazione con la strana coppia Totò - Ninetto Davoli.
Dapprima studia la realizzazione di un Pinocchio (in cui Totò avrebbe dovuto svolgere "stranamente" il ruolo di Geppetto e, Ninetto Davoli quello del burattino di legno), poi pensa di girare un intero film (Che cos’è il cinema?) suddiviso in quattro episodi: Che cosa sono le nuvole?, La Terra vista dalla luna, Le avventure del Re Magio randagio e il suo schiavetto Schiaffo, e Mandolini.
Ma nel 1966, Dino De Laurentiis, gli offre la possibilità di girarne due in altrettanti film: Le Streghe e Capriccio all’italiana. Egli accetta ma il progetto originario non verrà mai più prodotto; non verranno realizzati né il terzo né il quarto episodio.
In Le Streghe gli altri episodi sono girati da Rosi (La siciliana), Bolognini (Senso civico), Visconti (La strega bruciata viva) e De Sica (Una serata come le altre).

Nel suo episodio Pasolini è chiamato a trattare un argomento che potremmo definire inusuale per lui: la figura della donna-strega. Decide di rielaborare un racconto fiabesco intitolato Il buro e la bura al quale aggiunge un inizio e una fine. Il racconto narra di un uomo e di suo figlio che cercano una moglie/madre che si prenda cura di loro in sostituzione della precedente defunta.

 

 

Il regista bolognese comincia le riprese de La terra vista dalla luna nel Novembre del 1966 e avverte: <<si tratta di una favola surreale e comica […] una storia fuori dal tempo e come qualsiasi storia surreale, s’imparenta con la stregoneria>>.
Ciancicato Miao e suo figlio Baciù vivono in una borgata fuori dal tempo, dovele baracche sono multicolori e fantastiche come nei fumetti. Rispettivamente vedovo e orfano, piangono addolorati sulla tomba fresca della moglie e madre Crisantema, appena sepolta.

 

Ma i due si rendono conto di non poter fare a meno di una donna e decidono di trovarne un’altra che piaccia a entrambi. Per diversi motivi la vedova, la prostituta e il manichino, che incontrano successivamente, non soddisfano le loro aspettative. Solo in Assurdina Caì, una sordomuta, Ciancicato e Baciù trovano la moglie-madre ideale. Si celebra il matrimonio. Arrivati a casa Assurdina, da perfetta massaia trasforma una disordinata baracca in una bellissima casetta da fiaba. Ma Ciancicato e Baciù non si accontentano e desiderano una casa più accogliente e spaziosa pur non avendo i soldi è per acquistarla.Allora organizzano un piano: Assurdina finge un tentativo di suicidio mentre padre e figlio cercano di impietosire i passanti e di raccogliere una colletta.


Ma due strani turisti si arrampicano sul Colosseo, gettano una buccia di banana,e Assurdina scivolando cade di sotto.

Ciancicato e Baciù piangono disperati, ma al ritorno alla baracca Assurdina è lì vestita da sposa che li attende. Assurdina, muta è silenziosa è morta, ma si comporta come se fosse viva: una moglie-madre perfetta.Tutto è come prima. Ciancicato e Baciù sono felici.<<Morale:- spiega la didascalia - essere vivi o essere morti è la stessa cosa>>

<<Visto dalla luna, questo film che s’intitola appunto La terra vista dalla luna non è niente e non è stato fatto da nessuno… ma poiché siamo sulla terra sarà bene informare che si tratta di una fiaba scritta e diretta da un certo Pier Paolo Pasolini>>.

In un primo momento, La terra vista della Luna, ci appare come la continuazione di Uccellacci e uccellini. Lasciati Totò e Ninetto, nel film precedente, lungo la strada, in un finale tutto chapliniano, li ritroviamo in vesti diverse in una società che potremmo definire inserita nel "dopo storia". Ma, ben presto, ci rendiamo conto che l’elemento ideologico, che aveva caratterizzato gran parte di Uccellacci, qui viene tenuto maggiormente a bada, facendo in modo che rimanga nella penombra del racconto. Ma, sembra, che non vi riesca del tutto: in una sequenza dell’episodio, Totò/Ciancicato afferma: <<La vita è un sogno e gli ideali stanno qua (sotto la suola delle scarpe)>>.

Alle prese con la "surrealtà" e con la "comicità", il regista bolognese aveva come primo obiettivo quello di formulare un nuovo linguaggio, "il linguaggio filmico", meno logico e comprensibile ma che al tempo stesso sfuggisse al "senso comune" e all’ interpretazione omologante. Alla stessa maniera di come avveniva in Uccellacci, in La terra vista dalla Luna vi è "incomunicabilità" tra i personaggi: emblematici sono, in tal senso, il mutismo di Assurdina e gli sforzi di Totò/Ciancicato, costretto a movimenti da marionetta, pur di farsi capire. Ma la vera grande novità del film è l’utilizzo del colore. <<Proprio il colore, composto da tonalità accese ed evidenti contrasti, è la chiave espressiva dove risulta più evidente la sperimentazione pasoliniana>>.

 

 

 


Egli cerca di fornire un nuovo punto di vista: una visione che superi la maniera comune di vedere le cose, una sorta di sguardo alieno: non a caso La terra vista dalla luna.

Proprio l’utilizzo delle tonalità accese, per primo comunica la connotazione favolistica dell’episodio. La folla grigia, che si accalca sotto il Colosseo quasi ad attendere il suicidio di Assurdina, rappresenta la società senza più individualità, uniformata dalla testa ai piedi. L’utilizzo dei colori richiama l’espressionismo che ha contraddistinto buona parte del cinema dell’autore bolognese e che raggiunge qui la sua massima espressione.

 

Il contesto in cui i personaggi si muovono è caratterizzato da <<paesaggi cromaticamente assurdi>> quasi completamente deserti e privi della presenza umana. Totò/Ciancicato e Ninetto/Baciù vivono in un mondo che si potrebbe definire un "Terzo Mondo" all’interno dell’occidente. Pasolini si riferisce a quel Terzo mondo culturale, rappresentato dalla massa che è inconsapevole della sua sorte. Questa visione è arricchita dalla presenza di due turisti pronti a fotografare ogni aspetto dello squallore che li circonda: rappresentano la società dei consumi, l’industria culturale di massa.

 

I due turisti causeranno la morte/non morte di Assurdina con la loro sete di scatti.
Ma, La terra vista dalla luna fonda il suo significato principale sulla dicotomia vita-morte. <<La vicenda è ridotta ai termini elementari e fondamentali dell’esistenza umana>>. Ma, in questo mondo "fuori dal mondo" (lunare possiamo dire), anche questa dicotomia viene superata: <<Nessun personaggio può morire, per il semplice fatto che è gia morto e appare ormai solo filmicamente come pura immagine e finzione narrativa>> .


 

 

 

 

In un’altra ottica, Pasolini analizza e discute, nel film, la condizione della donna in una società siffatta. Assurdina rappresenta il vero e proprio desiderio maschilista in persona:una donna bella, brava nelle faccende di casa, che sappia cucinare e che, perdipiù, non dica nulla.

 

E, quindi, non è importante che sia viva o morta, ciò che conta è che continui a svolgere i suoi compiti di brava moglie/madre.
Pasolini ci offre nel suo episodio una "strega" completamente inedita, che è ben lontana dal tipico cliché (e non vi erano dubbi) della strega-donna cattiva e spietata.
La morale, esplicitata da una didascalia finale, afferma: "Essere morto o essere vivi è la stessa cosa".

Tale affermazione,tratta dalla filosofia indiana, non vuole essere solo e semplicemente critica e pessimistica, ma nasconde un’esortazione da parte dello stesso Pasolini: bisogna ricominciare a comunicare, innalzare gli ideali e le ideologie che stanno <<sotto le suole delle scarpe>>, <<essere lunari quel tanto che basta per prendere le distanze dai tentacoli mostruosi del nonsenso sociale e dei suoi schematismi da marionette>>.

Senza dubbio in La terra vista dalla luna Pasolini si rifà, ancora più scopertamente di quanto non fosse avvenuto in Uccellacci e Uccellini, al cinema muto di Chaplin. In questo episodio fa ancora più utilizzo, rispetto al precedente, delle immagini accelerate e delle gag clownistiche di Totò: il suo sembra un vero e proprio omaggio a Charlot.

Nonostante la centralità del ruolo della Mangano, Totò può essere considerato il protagonista del film: egli reindossa i panni del clown sfruttando la comicità che aveva contraddistinto le sue origini artistiche e, a distanza di anni, pare non essere affatto a disagio.

 

La terra vista dalla luna fu girato quando Pasolini già stava lavorando all’ Edipo Re e ancora una volta, come già era successo per Uccellacci, fu vietato ai minori di diciotto anni.  Tornato dal Marocco, Pasolini, ritornerà ancora a lavorare con la coppia Totò/Ninetto per l’altro episodio in programma: Che cosa sono le nuvole?

 


Tra il Marzo e l’Aprile del 1967, Pasolini, appena tornato dal Marocco, è già al lavoro per la realizzazione del secondo episodio promesso a Dino De Laurentiis. Il film nel quale s’inserisce Che cosa sono le nuvole? è Capriccio all’italiana: ennesimo film della grande produzione di pellicole a episodi che ha caratterizzato quel periodo.

Al film prendono parte vari registi di spessore come: Steno nell’episodio Il mostro della Domenica, Bolognini in Perché e La gelosa, Monicelli ne La bambinaia e Zac in Viaggio di lavoro.

Pasolini girò il suo cortometraggio nell’arco di una settimana, utilizzando oltre al duo Totò/Ninetto, attori come Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, Laura Betti, Adriana Asti e l’amico-scrittore Francesco Leonetti.

 

Tutto si svolge all’interno di un teatro, prima della messa in scena dell’ Otello di Shakespeare: alle pareti sono affissi i quattro manifesti degli spettacoli in programma, si tratta, in realtà, dei quattro titoli dei progetti di film comici che Pasolini ha in mente in quel periodo che campeggiano su altrettanti capolavori di Velasquez. Sulla locandina che riproduce "Il nano don Diego de Acedo detto El Primo" è presente il titolo: La terra vista dalla Luna; sulla riproduzione de "Il principe Baltasar Carlos con un nano", il titolo Mandolini (film che avrebbe dovuto contenere una serie di sketch comici interpretati da Totò e Ninetto); e infine, sul manifesto che ritrae il "Filippo IV", il titolo "Le avventure del Re Magio randagio e il suo schiavetto Schiaffo" (che si trasformerà negli anni successivi nel progetto del "Porno-Teo-Colossal").

Il cartellone de La terra vista dalla luna giace a terra, strappato, a indicare uno spettacolo che ha già avuto luogo. <<Prossimamente>> e <<Domani>> annunciano rispettivamente Mandolini e Re Magio Randagio.  Escludendo La terra vista dalla luna nessuno di questi progetti di pellicole comiche fu realizzato: solo Sergio Citti nel 1996 realizzerà "I Re Magi randagi".

 

 


Sul manifesto che indica lo spettacolo di <<Oggi>> ritroviamo su "Las Meninas" del pittore di Siviglia, il titolo Che cosa sono le nuvole?. "Las Meninas" può essere considerata una delle opere più importanti della storia dell’arte proprio per la sua carica innovativa. Essa viene considerata come il primo caso di mise in abyme (o struttura in abisso), che consiste nel prendere come punto focale dell’ opera la creazione artistica, ovvero la rappresentazione nel suo realizzarsi, nel suo farsi.

Quindi notiamo, come l’opera di Velasquez si leghi alla "rappresentazione nella rappresentazione" dell’Otello di Shakespeare che propone Pasolini. Detto questo, ecco la storia del film.

 

In uno scalcinato teatrino di periferia va in scena l’Otello di Shakespeare recitato dai burattini. L’azione è incentrata sulla gelosia di Otello provocata ad arte dal malvagio Jago, il suo cattivo consigliere. Fuori scena il burattino Otello, che è appena nato (è stato appena costruito) e non conosce ancora il mondo, poco convinto del suo ruolo, chiede spiegazioni al burattino Jago, che gli risponde: <<Siamo in un sogno dentro un sogno>>. La vicenda si sviluppa in scena come nella tragedia shkespeariana.

 

Quando Otello, costretto dal suo destino di burattino-attore e dall’odio ce deve per forza recitare, sta per uccidere Desdemona, gli spettatori non trattengono la loro ira e, per salvare la povera fanciulla innocente, saltano sul palcoscenico e lo ammazzano insieme al malvagio Jago. Nello sgabuzzino-camerino gli altri burattini piangono addolorati la morte dei loro compagni. Arriva l’immondezzaro, carica sul suo camion i due burattini-cadaveri, li trasporta alla discarica e li butta via. Nel mondo reale i due burattini si rendono conto della <<straziante, meravigliosa bellezza del creato!>>

 

Con Che cosa sono le nuvole?, Pasolini decide di abbandonare definitivamente la trattazione ideologica (seppur in alcuni casi ceda alla tentazione), che già abbondantemente è stata utilizzata in Uccellacci prima e, in toni più sommessi in La terra vista dalla luna poi, lasciandosi andare alla pura creazione poetica.


All’interno dell’episodio i personaggi svolgono senza dubbio un ruolo importante; i più rappresentativi sono: Jago/Totò, che nel film svolge il ruolo del saggio che aiuta Otello/Ninetto nella ricerca di se stesso nel mondo reale, del senso della sua esistenza e, Otello/Ninetto appunto che, appena creato, è costretto a recitare in una tragedia che non conosce con un copione che non ha mai studiato.

 

Sembra che sia spinto da una forza sovrannaturale che lo spinge a dire parole e a fare gesti che non condivide e che anzi egli stesso respinge. Ben presto Otello, con l’aiuto di Jago, si rende conto di non vivere nella realtà ma in una rappresentazione di essa in cui tutti gli altri burattini, come lui, sono costretti a svolgere azioni decise da qualcun altro per loro.

 

Inevitabilmente, vivendo in un "mondo nel mondo", gli stessi protagonisti hanno a che fare con due Dei: un Dio-marionettista che "regge le fila della rappresentazione" e che risponde alle domande con il "forse" e un Dio-autore che, seppur interpretato da Francesco Leonetti (lo stesso che aveva dato voce al corvo di Uccellacci), s’identifica nello stesso Pasolini. Infine vi è l’immondezzaro (interpretato da Domenico Modugno) Caronte di anime-inanimate traghettate al mondo reale.

L’unica maniera per poter assaporare la "straziante meravigliosa bellezza del creato" è quella di morire per poter rinascere, ma solo per pochi attimi, quegli attimi che permettono a Jago e Otello di scoprire le nuvole. "Otello- Iiiiiih, che so’ quelle? Jago- Sono…sono…le nuvole…Otello- E che so’ le nuvole? Jago- Boh! Otello- Quanto so’ belle! Quanto so’ belle! Jago- Oh, straziante meravigliosa bellezza del creato!"

E poi c’è il pubblico che decide di venir fuori dal suo ruolo e intervenire sulla scena per evitare che la tragedia si compia, regalando alla rappresentazione un finale diverso da quello che Shakespeare aveva pensato. Irrompe sul palco, impedisce a Otello di uccidere Desdemona, e dopo aver eliminato Jago e Otello, porta in trionfo Cassio. Rileviamo qui una doppia citazione di Pasolini, una riferita alle sceneggiate a cui il pubblico prendeva spesso vivacemente parte e l’altra a Don Chisciotte che, per correre in aiuto del valoroso Don Gaiferos, salì sul palcoscenico per fare strage di burattini.

 

 


Pasolini, in questa maniera, ritrae ancora una volta il pubblico/massa ignorante e inconsapevole che non è in grado di accettare qualsiasi evento esca dai canoni dell’ "etica borghese": questa interpretazione ci permette quindi di rilevare ancora una volta la sua insoddisfazione nei confronti della società, e d’individuare alcuni cenni della sua denuncia alla dilagante omologazione, già ampiamente trattata in Uccellacci.

 

Quindi, i personaggi di Che cosa sono le nuvole?, seppur marionette, sono in grado di provare emozioni alla stessa maniera degli esseri umani: hanno paura quando vengono trasportati alla discarica, piangono quando qualcuno di loro muore,rimangono estasiati dalla bellezza del mondo reale. Non hanno urgenti bisogni fisici come i personaggi delle due pellicole precedenti, ma bisogni morali. Ma se i nostri attori vivono una rappresentazione nella rappresentazione (o in un "sogno nel sogno" come afferma Jago-Totò), se hanno due Dei ai quali rivolgersi, allora vivono una doppia vita e una doppia morte al tempo stesso. Ed è qui che ritroviamo, forse con maggiore evidenza, la dicotomia vita-morte, già analizzata in La terra vista dalla luna.

 

 

Lo stesso Pasolini, obbligato a indicare i rapporti che legano i due episodi afferma che, oltre allo stile comico-picareso che contraddistingue entrambi, un punto fondamentale d’incontro è quello che riguarda la definizione de "l’ideologia della morte": <<Quell’ideologia che fa corpo con l’inesplicabile mistero della vita, di quella disperata vitalità che assume valore e significato solo grazie al mistero del suo avere fine>>. In quest’ottica Pasolini ritrae la vita come un viaggio senza senso e la morte come nascita, come recupero del senso della vita.

 

Ma c’è un altro aspetto che lega Che cosa sono le nuvole? al cortometraggio precedente, ed è l’utilizzo del colore: la stranezza cromatica contraddistingue anche quest’ultima opera del regista bolognese. Jago, completamente colorato di verde dimostra la falsità dei personaggi nel loro non essere umani. Sicuramente il colore (utilizzato con la sapienza degli artisti) ha permesso a Pasolini d’incrementare l’espressività dei suoi film.

 


Per quanto riguarda le musiche utilizzate nell’episodio c’è da dire che, dopo la collaborazione con Ennio Morricone, che aveva caratterizzato le due pellicole precedenti, in Che cosa sono le nuvole? Pasolini realizza con Modugno una canzone (dallo stesso titolo del film) scritta dal regista bolognese e musicata e interpretata dal cantante polignanese: i due si ritrovano dopo l’esperienza di Uccellacci, quando Modugno aveva cantato i titoli di testa.

 

Pasolini dopo questo episodio per i suoi film successivi è pronto a dar vita a una vera e propria rivoluzione linguistica, che avrà inizio con la poetica dell’immagine, <<sciolta dai legami logici, sbilanciata sul versante delle pure emozioni>>.

 

Il suo primo tentativo sarà Edipo Re, film che aveva già cominciato a girare in contemporanea con l’episodio trattato.
Con Che cosa sono le nuvole? si chiude la trilogia comica di Pasolini nata con Uccellacci e uccellini, consolidatasi con La terra vista dalla luna, e ha fine la collaborazione Pasolini/Totò/Ninetto a causa della morte del secondo che avverrà un mese dopo la fine delle riprese.

 

 

Totò, quindi, non farà mai in tempo a vedere il suo ultimo lavoro: <<La morte del burattino Jago si sovrappone a quella del principe dei comici: entrambi abbandonano le assi del palcoscenico, i fili tagliati da una Parca crudele>>. La morte di Totò interrompe, quindi, quel rapporto di collaborazione con Pasolini che finalmente aveva intrapreso i binari giusti. Egli era entusiasta del lavoro che stava svolgendo, proprio perché Pasolini gli permetteva di recuperare quella comicità dei primordi, quella del clown e del burattino. Alla luce di questo Pasolini abbandona definitivamente l’ambito grottesco-picaresco e, Che cosa sono le nuvole? rimarrà l’ultimo episodio del ciclo comico da egli stesso progettato. >>articolo correlato: Totò visto da Pier Paolo Pasolini<<  >>articolo correlato: Totò biografia-L'ultimo incontro<<

 

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