Uccellacci e uccellini
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Film in B/N durata 88 min. - Incasso lire 173.000.000 (valore attuale € 2.207.644,62) Spettatori 606.442 English version "Uccellacci e uccellini" 1966 di Pier Paolo Pasolini. Soggetto e sceneggiatura: Pier Paolo Pasolini; Produzione Alfrdo Bini per Arcofilm, Direttore della fotografia Mario Bernardo e Tonino Delli Colli, Musiche Ennio Morricone, Montaggio Nino Baragli, Sceneggiatore Dante Ferretti, Direttore di produzione Fernando Franchi, Aiuto regista Sergio Citti, Fonico Divo Cavacchioli. Interpreti: Totò (Totò Innocenti e fra' Ciccillo), Ninetto Davoli (Ninetto e frate Ninetto), Femi Benussi (Luna), Rossana Di Rocco (un'amica di Ninetto), Umberto Bevilacqua, Renato Capogna e Pietro Davoli (due canaglie), Rosina Moroni (donna del casolare), Lena Lin Solaro (Urganda), Gabriele Baldini (il dentista dantista), Riccardo Redi (l'ingegnere). Trama: Un padre ed un figlio, Totò e Ninetto, nella loro surreale innocenza camminano senza una meta precisa, parlando tra loro di mille cose e non meravigliandosi di niente, neanche quando incontrano un corvo parlante che dice di essere figlio del dubbio e della coscienza. Il corvo racconta loro la storia di frà Ciccillo e frà Ninetto che predicavano agli uccelli, tentando di rendere evangelici i falchi. Invano. I falchi, secondo il loro intuito, sbranano i passeri e la perplessità di frà Ciccillo S. Francesco li invita a ricominciare tutto da capo. Tornati ad essere se stessi padre e figlio si comportano di volta in volta da falchi e da passeri, continuando il loro cammino senza meta. Alla fine ammazzeranno il corvo troppo fastidioso con la sua aria saputa e se lo mangeranno. |
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Critica: Pier Paolo Pasolini, Capolavori italiani, L'Arca società editrice de "l'Unità", maggio 1995. Non ho mai "messo al mondo" un film così disarmato, fragile e delicato come Uccellacci e uccellini. Non solo non assomiglia ai miei film precedenti, ma non assomiglia a nessun altro film. Non parlo della sua originalità, sarebbe stupidamente presuntuoso, ma della sua formula, che è quella della favola col suo senso nascosto. Il surrealismo del mio film ha poco a che fare col surrealismo storico; è fondamentalmente il surrealismo delle favole [...] Questo film che voleva essere concepito e eseguito con leggerezza, sotto il segno dell'Aria del Perdono del "Flauto Magico", è dovuto in realtà a uno stato d'animo profondamente malinconico, per cui non potevo credere al comico della realtà (a una comicità sostantivale, oggettiva). L'atroce amarezza dell'ideologia sottostante al film (la fine di un periodo della nostra storia, lo scadimento di un mandato) ha finito forse col prevalere. Mai ho scelto per tema di un film un soggetto così difficile: la crisi del marxismo della Resistenza e degli anni Cinquanta, poeticamente situata prima della morte di Togliatti, subita e vissuta, dall'interno, da un marxista, che non è tuttavia disposto a credere che il marxismo sia finito (il buon corvo dice: "Io non piango sulla fine delle mie idee, perché verrà di sicuro qualcun altro a prendere in mano la mia bandiera e portarla avanti! È su me stesso che piango..."). Ho scritto la sceneggiatura tenendo presente un corvo marxista, ma non del tutto ancora liberato dal corvo anarchico, indipendente, dolce e veritiero. A questo punto, il corvo è diventato autobiografico, una specie di metafora irregolare dell'autore.
Totò e Ninetto rappresentano invece gli
italiani innocenti che sono intorno a noi, che non sono coinvolti nella storia,
che stanno acquisendo il primo jota di coscienza: questo quando incontrano il
marxismo nelle sembianze del corvo.
Ho sempre sostenuto che amo fare film con attori non professionisti, cioè con facce, personaggi, caratteri che sono nella realtà, che prendo e adopero nei miei film. Non scelgo mai un attore per la sua bravura di attore, cioè non lo scelgo mai perché finga di essere qualcos'altro da quello che egli è, ma lo scelgo proprio per quello che è: e quindi ho scelto Totò per quello che è. Volevo un personaggio estremamente umano, cioè che avesse quel fondo napoletano e bonario, e così immediatamente comprensibile, che ha Totò. E nello stesso tempo volevo che questo essere umano così medio, così "brava persona", avesse anche qualcosa di assurdo, di surreale, cioè di clownesco, e mi sembra che Totò sintetizzi felicemente questi elementi.
"Uccellacci e uccellini" è il primo della trilogia pasoliniana, nel quale vengono evidenziate tutte le qualità del grande clown; è un film lunare e astratto, che obbedisce al solo impulso lirico ed è volutamente indecifrabile, come può esserlo una poesia che, a discuterla troppo, perde il suo fascino.
"Uccellacci e uccellini", "La terra vista dalla luna" e "Che cosa sono le nuvole" contengono un'allusione esplicita all'universo, che è il perimetro poetico nel quale Pasolini "interpreta" e inscrive il genio di de Curtis: ossia quello di una dimensione che va oltre l'aspetto realistico, oltre l'aspetto comico e farsesco, oltre l'aspetto pulcinellesco, per approdare ad una dimensione surreale e fantastica, nella quale tutti questi elementi separati vanno a ricomporsi in una unità di eccezionale forza poetica.
Nel film la luna svolge un ruolo di primo piano ed è evocata in molti passaggi del film, anche nell'incontro con la prostituta (la bellissima Femi Benussi), che si chiama proprio Luna. Su uno sfondo di favola e di stupefazione quasi infantile, Pasolini costruisce due personaggi clowneschi, un padre e un figlio, sfruttando al massimo le qualità di de Curtis. Il nuovo sta nell'aver inserito questa maschera triste, avvilita, offesa, nell'ambito di un realismo che sfuma continuamente fino ad evaporare del tutto nel surreale e nella favola. Ben contrappuntato da Ninetto Davoli, Totò riesce a farci vedere contemporaneamente tutti i lati del suo viso proteiforme: il clown bianco e l' Augusto, il cialtrone e l'onesto, il cinico e l'ingenuo, il mite e il violento, l'opportunista e il generoso, lo sfruttatore e lo sfruttato, insomma l'interezza della natura umana concentrata in una figura.
Tutto confluisce nella favola metafisica, con un corvo che parla, consiglia, predice e critica, e al quale i due protagonisti danno del "voi" chiamandolo "sor maestro". Con questo film de Curtis è premiato nel 1966 a Cannes come migliore interprete protagonista e col nastro d'argento come migliore attore dell'anno. È il tramonto di un grande clown, che concentra nelle sue ultime esibizioni tutta la sua forza di attore. Si vede sul volto la somma di tutta la sua storia e della sua carriera artistica, dai primi inizi nei teatri di Torre Annunziata, ai fasti delle riviste, ai trent'anni ininterrotti di cinema, quasi vi fosse una consapevolezza di dare di se stesso le ultime immagini, come un testamento visivo, affidato al genio di Pasolini, nel quale affiorano i temi di sempre: la fame, la dignità, il lavoro, il sopruso, l'arrangiarsi, Napoli, la vita. Pasolini classifica Totò con quattro aggettivi cantati da Domenico Modugno nei titoli di testa: "assurdo, umano, matto, dolce Totò".
I tre personaggi, Totò, Ninetto e il corvo camminano dall'inizio alla fine in paesaggi desolati, su un'autostrada in allestimento, dove non incontrano mai nessuno, in un mondo che risulta astratto non perchè irreale, ma per un sovraccarico di realismo e perchè fornisce significati sempre differenti dalle cose rappresentate, siano esse rottami o case diroccate, campagne smisurate e solitarie, interni di bicocche o persone che appaiono da finestre per poi scomparire per sempre. >Articolo correlato 3.1 Uccellacci e uccellini< Tratto da "Totò principe clown" di Ennio Bìspuri per gentile concessione |
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