Nonostante i quasi cento film interpretati da
Totò, si fa, tuttoggi, ancora fatica a capire quale sia in realtà il suo vero
volto, la vera composizione della sua maschera.
Mille Totò affollano unattività cinematografica ricca e variegata, dai contorni
disomogenei, un vero e proprio "continente" di dimensioni abnormi: il Totò
delle prime esperienze cinematografiche degli anni 30, quello rivistaiolo di
Mattoli
e Bragaglia, quello neorealista di
Monicelli e Rossellini e, ancora, il burattino di
Steno
e il sottoproletario di Pasolini.
Il mio lavoro di tesi ha come obiettivo principale lanalisi del Totò-attore in
relazione ad alcune sue collaborazioni con alcuni tra i più grandi maestri del cinema
italiano: e parliamo di Monicelli,
Rossellini e
Pasolini.
Partendo dallo studio della sua comicità ho voluto delineare i vari volti di una maschera
che è andata modificandosi in relazione alle esigenze stilistiche e alla maniera di
intendere il cinema dei registi che lo diressero.
La sua comicità non fu intesa da tutti allo stesso modo, ogni regista la utilizzò per un
intento particolare, in relazione a un progetto artistico, sociale o ideologico.
Per Totò la comicità è musica, nel senso che è basata sul "tempo". E sono la
vocazione e il mestiere che portano lattore a improvvisare scena per scena qualche
parola.
Egli portò i gesti, i lazzi dellavanspettacolo, della rivista teatrale (alla quale
era molto legato), nel mondo del cinema privo di quel calore che il pubblico infonde sui
palcoscenici, ma che non ha impedito allattore napoletano di diventarne uno degli
assi portanti con quasi quaranta anni di lavoro ininterrotto.
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La sua comicità è quella semplice e immediata dei clown, quella che strappa un sorriso
alla povera gente che ogni giorno lotta per la sopravvivenza. E Totò conosce a memoria la
miseria: «La miseria è il copione della vera comicità. Non si può far ridere se
non si conoscono bene il dolore, la fame, il freddo, lamore senza speranza, la
disperazione della solitudine di certe squallide camerette ammobiliate alla fine di una
recita in un teatrucolo di provincia; e la vergogna dei pantaloni sfondati, il desiderio
di un caffelatte. [
] Insomma non si può essere un vero attore comico senza aver
fatto la guerra con la vita».
In questottica lattore napoletano ricorda Charlot che, prima di lui, si
aggirava tra le macerie e la povertà di luoghi desolati, dominati dalla miseria. E alla
stessa maniera di Chaplin, appunto, è in grado di costruirsi una maschera che in
qualunque soggetto rimane sempre tale. Una comicità senza tempo, che non può essere
identificata in un periodo definito: quella di sempre, dunque, antica e moderna allo
stesso tempo.
Nei film di Monicelli, Totò si muove sullo sfondo di una Roma che cerca di ricostruirsi
nei primi anni del dopoguerra: inevitabilmente viene a contatto con il «patetismo
del neorealismo rosa della nascente commedia allitaliana» con le sue regole e
i suoi tecnicismi. Per la prima volta Totò si ritrova a dover abbandonare il
"nucleo" centrale, il cuore della sua comicità, «lessenza surreale
del mimo disumano».
Con Steno e Mario Monicelli prima, e con
Roberto Rossellini poi, lattore napoletano
è costretto a dare un senso ai suoi lazzi, ai suoi mimi, a dare una ragione alla sua
comicità; una comicità che prima era sublime proprio perché era gratuita e insensata. I
movimenti pazzi e irriverenti delle farse di Mattoli sono barattate da Monicelli e Steno
con i più composti e meno assurdi gesti delluomo neorealista. Totò è reso più
umano, abbandona le sue caratteristiche di marionetta, di Pinocchio: viene derubato della
sua maschera, dei suoi tratti più rivoluzionari, in favore di un Totò mansueto, meno
aggressivo alleggerito delle sue caratteristiche davanguardia.
In
Dovè la libertà
? (1954) (unico lavoro dellattore con
Rossellini)
tale contrasto è messo maggiormente in risalto. Si avverte, in maniera molto evidente una
disparità di tono allinterno dello stesso film: una parte dellopera viene,
infatti, realizzata da Fellini, il quale lascia maggiormente libero Totò di scatenarsi
nelle sue gag. A tratti, dunque, la sua maschera pare delinearsi, prendere forma per
giocare, irridere le autorità e le istituzioni con lingenuità delle marachelle dei
bambini.
«Eppure afferma Anile mai come in questo film larte di Antonio
De Curtis risulta costretta, schiacciata da esigenze stilistiche che gli rimangono
estranee, annichilita da un moralismo che ha trasformato in vittima incolpevole un
personaggio altrove aggressivo e irridente».
Per Totò lincontro con Rossellini ha una grande importanza perché avrebbe potuto
rappresentare il principio per lavvio di una nuova carriera drammatica: in realtà
lincontro tra i due si traduce in uno scontro tra stili, con ogni probabilità,
incompatibili tra loro.
Tanti furono i tentativi di spingere Totò verso un maggiore impegno attraverso
linterpretazione di ruoli drammatici: «Nei reiterati tentativi, [
] si
nascondeva la tentazione di ridimensionare la sua arte, proponendogli come un
indispensabile passo in avanti quello che invece era un clamoroso autogol».
In alcuni casi Totò accetta tali inviti con risultati a volte ottimi, come
Guardie e
ladri (1952), a volte impalpabili come Dovè la libertà
?.
Cosciente di avere un gran successo commerciale e quindi grande presa sui produttori,
Totò non riesce a sfruttare tale situazione e, a distanza di anni, ammetterà di aver
realizzato una montagna di film brutti.
Ma Totò capirà anche che le sue ambizioni nei film drammatici erano sbagliate, che
Guardie e Ladri e Loro di Napoli (1954) erano anchessi dei compromessi:
«I ruoli drammatici afferma Totò sono piaciuti più alla critica che
al pubblico. Il pubblico ama Totò perché Totò fa ridere, perché lo aiuta a dimenticare
i guai, le amarezze di tutti i giorni. Non vuole vedere Totò serio, impegnato in vicende
drammatiche».
Lattore napoletano pare essere molto più a suo agio nelle farse di Steno e nelle
commedie di Mattoli e Mastrocinque: non a caso saranno i registi, come egli stesso
afferma, con cui lavorerà meglio.
Poi cè lincontro con
Pier Paolo Pasolini: per la prima volta
Totò si trova ad aver a che fare con un intellettuale e con film politicamente
impegnati e al contempo surreali [Uccellacci e uccellini (1965),
La terra vista dalla luna (1966) e
Che cosa sono le
nuvole
? (1967)].
Il principe giunge qui al termine della sua carriera pronto a mettersi in gioco. Pasolini
libera Totò dellaggressività che aveva contraddistinto le farse degli anni
50 in favore di una comicità più docile, tenera.
Ma l’influenza della personalità dell’attore napoletano, il suo estro anarchico,
finiscono per avere la meglio sul regista bolognese: «Che cosa sono le
nuvole segna la definitiva rivalsa dellarte surreale di De Curtis sul cinema
ideologico di Pasolini. [
] Come nellapologo di Laigle, Pasolini ha
cercato di addomesticare un "araldico bellissimo uccello" (come
Fellini
definirà Totò) ma ha finito per rimanerne a sua volta soggiogato».
La dimensione irreale della favola permette allattore napoletano di recuperare la
comicità degli esordi dellavanspettacolo e della rivista. Il Totò di Pasolini
viene riportato in ambiti più visivi, da comicità del muto, quella di Chaplin per
intenderci.
Pasolini, quindi, intellettuale aperto e trasgressivo accompagna Totò verso le sue
origini, sul palcoscenico durante la rappresentazione dellOtello di Shakespeare in
Che cosa sono le nuvole. Lì il principe-burattino decide di lasciarci, nel momento di
massima rappresentazione della sua arte comica, quella inseguita per tutta la vita.
La vera maschera di Totò, oserei dire, è proprio questa, quella legata ai fili di una
rappresentazione di marionette, quella del burattino che scorrazza sul palcoscenico di un
teatro in Totò a colori (1952) di Steno, quella del cinema muto, quella del gagà delle
riviste, quella a cui «sono affezionato come alla mia cosa più cara».
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