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Nonostante i quasi cento film interpretati da
Totò, si fa, tuttoggi, ancora fatica a capire quale sia in realtà il suo vero
volto, la vera composizione della sua maschera. Per Totò la comicità è musica, nel senso che è basata sul "tempo". E sono la vocazione e il mestiere che portano lattore a improvvisare scena per scena qualche parola. Egli portò i gesti, i lazzi dellavanspettacolo, della rivista teatrale (alla quale era molto legato), nel mondo del cinema privo di quel calore che il pubblico infonde sui palcoscenici, ma che non ha impedito allattore napoletano di diventarne uno degli assi portanti con quasi quaranta anni di lavoro ininterrotto.
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La sua comicità è quella semplice e immediata dei clown, quella che strappa un sorriso alla povera gente che ogni giorno lotta per la sopravvivenza. E Totò conosce a memoria la miseria: «La miseria è il copione della vera comicità. Non si può far ridere se non si conoscono bene il dolore, la fame, il freddo, lamore senza speranza, la disperazione della solitudine di certe squallide camerette ammobiliate alla fine di una recita in un teatrucolo di provincia; e la vergogna dei pantaloni sfondati, il desiderio di un caffelatte. [ ] Insomma non si può essere un vero attore comico senza aver fatto la guerra con la vita». In questottica lattore napoletano ricorda Charlot che, prima di lui, si aggirava tra le macerie e la povertà di luoghi desolati, dominati dalla miseria. E alla stessa maniera di Chaplin, appunto, è in grado di costruirsi una maschera che in qualunque soggetto rimane sempre tale. Una comicità senza tempo, che non può essere identificata in un periodo definito: quella di sempre, dunque, antica e moderna allo stesso tempo.
Nei film di Monicelli, Totò si muove sullo sfondo di una Roma che cerca di ricostruirsi
nei primi anni del dopoguerra: inevitabilmente viene a contatto con il «patetismo
del neorealismo rosa della nascente commedia allitaliana» con le sue regole e
i suoi tecnicismi. Per la prima volta Totò si ritrova a dover abbandonare il
"nucleo" centrale, il cuore della sua comicità, «lessenza surreale
del mimo disumano».
In
Dovè la libertà
? (1954) (unico lavoro dellattore con
Rossellini)
tale contrasto è messo maggiormente in risalto. Si avverte, in maniera molto evidente una
disparità di tono allinterno dello stesso film: una parte dellopera viene,
infatti, realizzata da Fellini, il quale lascia maggiormente libero Totò di scatenarsi
nelle sue gag. A tratti, dunque, la sua maschera pare delinearsi, prendere forma per
giocare, irridere le autorità e le istituzioni con lingenuità delle marachelle dei
bambini.
Tanti furono i tentativi di spingere Totò verso un maggiore impegno attraverso
linterpretazione di ruoli drammatici: «Nei reiterati tentativi, [
] si
nascondeva la tentazione di ridimensionare la sua arte, proponendogli come un
indispensabile passo in avanti quello che invece era un clamoroso autogol».
Ma Totò capirà anche che le sue ambizioni nei film drammatici erano sbagliate, che
Guardie e Ladri e Loro di Napoli (1954) erano anchessi dei compromessi:
«I ruoli drammatici afferma Totò sono piaciuti più alla critica che
al pubblico. Il pubblico ama Totò perché Totò fa ridere, perché lo aiuta a dimenticare
i guai, le amarezze di tutti i giorni. Non vuole vedere Totò serio, impegnato in vicende
drammatiche».
Poi cè lincontro con
Pier Paolo Pasolini: per la prima volta
Totò si trova ad aver a che fare con un intellettuale e con film politicamente
impegnati e al contempo surreali [Uccellacci e uccellini (1965),
La terra vista dalla luna (1966) e
Che cosa sono le
nuvole
? (1967)].
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