Gli amanti latini
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Film in B/N durata 96 min. - Incasso lire 327.000.000 (valore attuale € 5.101.239,67) Spettatori 1.407.000 Video-clip 44 sec. "Gli amanti latini" 1965 di Mario Costa. Soggetto e sceneggiatura Bruno Corbucci, Giovanni Grimaldi. Produzione: Filmes-Euro International Roma, Direttore della fotografia Alberto Fusi, Scenografia Arrigo Equini, Direttore di produzione Tommaso Sagone, Musiche Carlo Savina, Montaggio Gian Maria Messeri, Aiuto regista Alfredo Antonini. Interpreti nell'epis. con Totò, Amore e morte: Totò (ragioniere Antonio Gargiulo), Annie Gorassini (la francesina), Mario Castellani (il paziente della mutua), Michele Malaspina (il direttore), Angela Minervini (la ragazza della ricetta), Eleonora Morana (sig.ra Gargiulo), Luisa Alerti (la suocera), Nando Angelini (un collega), Consalvo Dell'Arti (un collega); Interpreti altri epis.: Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, Tony Ucci, Gisella Sofia, Aldo Giuffrè. Film in cinque episodi: 1. La grande conquista 2. Il telefono consolatore 3. L'irreparabile 4. Amore e morte 5. Gli amanti latini Trama 4° Episodio "Amore e morte": Antonio Gargiulo (Totò) lavora come ragioniere in una grossa ditta e spesso deve subire le cattiverie dei colleghi. Un giorno stanco di questa vita si finge gravemente ammalato, prossimo a morire. I colleghi impietositi fanno una colletta, mettendo insieme due milioni di lire. Serviranno al ragioniere per concedersi una lunga e inebriante vacanza sulla Costa Azzurra. |
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È il solito filmetto intessuto di belle ragazze. Il compito di risollevare le sorti della pellicola se lo assumono Totò e Gisella Sofio: e in verità, alcune battute sono, se non proprio da antologia dell'umorismo, almeno originali. "Corriere d'Informazione", Milano, 11 settembre 1955. È vero che gli sceneggiatori di Amanti Latini hanno cercato di rinforzare la loro anemica brodaglia con qualche frecciatina suggerita dall'attualità. Proposito lodevole ma non sufficiente. Con un po' di buona volontà si può salvare tuttavia il pezzo affidato a Totò, nutrito, se non altro, di humus impiegatizio, nella tradizione di Courteline. "Il Giorno", Milano, 11 settembre 1955.
Il film, caricatura del latin lover italiano, costituito di cinque episodi tutti diretti da Mario Costa, si inserisce nel filone dei film a episodi, ormai dirompente negli anni '60, come già "Le motorizzate" e "Le belle famiglie" e successivamente "Le streghe" e "Capriccio all'italiana", mentre i più lontani precedenti sono "Questa è la vita", "Tempi nostri" e "L'oro di Napoli", tutti e tre del 1954.
L'episodio che riguarda Totò è certamente il più riuscito, sia dal punto di vista dello spunto narrativo (un impiegato che si finge colpito da un male incurabile per trarne i benefici della solita colletta e poi fuggire in Francia con l'amante), sia per l'impianto recitativo, nel quale presenta maggiore spicco il duetto con Mario Castellani, che ricostruisce, con le dovute modifiche e i dovuti adattamenti alla situazione, allo stile del film e ai tempi mutati, il medesimo intreccio di gags e di gesti del famoso sketch del wagon lit di "Totò a colori", che qui risulta più fresco e più realistico, perchè depurato della struttura farsesca ed esagerata.
Totò e Castellani si lanciano ancora una volta, con somma bravura, nel recitare il ruolo del rispettivo clown Augusto e bianco, in uno scoppiettio pirotecnico, ma molto controllato e gustoso, dove Totò, sorretto da un partner perfetto, riesce a sviluppare in pieno la caricatura dell'uomo qualunquista, irriverente, cinico, indifferente ai dolori altrui, ironico e istrionico, incosciente e furbastro.
L'episodio si compone di quattro scene staccate: la prima quella con Mario Castellani nell'ambulatorio delle analisi; la seconda con il direttore dell'ufficio, nella quale, con somma bravura recitativa, il ragionier Gargiulo, che ha precedentemente scambiato le sue analisi negative con quelle di un vecchio moribondo, comunica al capufficio (Michele Malaspina) di essere affetto da un male incurabile per trarne tutti i possibili vantaggi; la terza quando il direttore in persona consegna lo stipendio all'impiegato, unitamente ad una busta contenente oltre due milioni, sotto gli occhi impietositi dei colleghi; la quarta, conclusiva, mostra Totò che sta coprendo di banconote da 10.000 lire il corpo della sua amante francese distesa sul letto.
Distendendo le banconote, Totò cita l'analogo episodio de "La noia" di Moravia, dal quale Damiano Damiani aveva tratto un film l'anno precedente. Non mancano nell'episodio esagerazioni come l'eccessiva preoccupazione del capufficio nell'organizzare e imporre la colletta a tutti i dipendenti; l'immediatezza della raccolta; l'insistenza dell'impiegato nel soppesare la busta e nel domandare più volte quanti soldi contiene. Buoni alcuni spunti, come quando Totò legge le sue analisi stiracchiandole come se stesse leggendo le carte del poker o le scene del mondo impiegatizio, imparentate con "Totò e i re di Roma", "Chi si ferma è perduto" e "Totò, Fabrizi e i giovani d'oggi", che richiamano fortemente quelle stesse situazioni poi più macroscopicamente esasperate e caricaturizzate dieci anni dopo con il ciclo di Fantozzi. Tratto da "Totò principe clown" di Ennio Bìspuri per gentile concessione |
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