Totò, Charles Chaplin e Michael Jackson: geni a confronto
di Salvatore Cianciabella psicologo iscritto all’Ordine degli Psicologi della Toscana.
E fatte n'altra risata ‘nfaccia a stù cappello!
C’è tanta gente che si diverte a far soffrire l’umanità,
Se proviamo a chiedere in giro cosa accomuna Totò a Chaplin e a Michael Jackson
le risposte variano a seconda dell’età, delle professioni, del contesto
socio-culturale, dell’acutezza di osservazione, del livello di ingenuità. Childhood (Infanzia)
“Durante l’infanzia Totò non ebbe mai giocattoli, neanche a Natale o il giorno
del suo compleanno, mangiò sempre frugalmente e non conobbe nemmeno i piaceri
più modesti. Gli abiti che indossava erano ricavati dalle gonne smesse di
Anna
[la madre] che aveva gusti vistosi. Una veste a fiori, rose rosse per la
precisione, spinse Totò, a sette anni, a improvvisare la sua prima esibizione
pubblica. Da quell’indumento, qua e là macchiato di cipria, la nonna aveva
tratto un paio di calzoncini per il piccolo, che così conciato uscì nel vicolo
per giocare come al solito con gli altri scugnizzi smaliziati e dispettosi. I
pantaloni erano piuttosto larghi e, per così dire, alti di vita, per cui il
bimbo somigliava disastrosamente a un clown, con un tocco di femminilità per
giunta. Di fronte a quello spettacolo i monelli andarono a nozze e, facendo
circolo, incominciarono a beffeggiare l’amico con frasi piuttosto pesanti. A Napoli, anche a sette anni, un bimbo ha il culto della virilità, e quelle offese ferirono profondamente Totò che in un moto di rabbia furibonda si strappò i pantaloni fiorati restando in mutande. Poi, guardando il suo primo pubblico, protervo e impietoso ma pur sempre un pubblico, ebbe un colpo di genio. Si piantò le mani sui fianchi, e muovendo le gambe magre in una specie di danza improvvisò la sua prima macchietta. Gli scugnizzi ammutolirono e dal dileggio passarono al divertimento, poi all’approvazione appassionata che culminò in un applauso fragoroso. Allora Totò abbozzò un piccolo inchino di ringraziamento e si avviò verso casa: la figuretta solitaria in mutande aveva una grande dignità e nessuno vedendola passare ebbe il coraggio di ridere” .[1]
Totò al suo debutto con Fermo con le mani (1937) da Totò: l’uomo e la maschera, Feltrinelli, 1977 Totò recitò così il suo primo copione, qualsiasi altro bullo avrebbe reagito fisicamente, ma lui fu fermo con le mani [2] e gestì il conflitto con l’umorismo. Negli artisti, in particolar modo negli attori è difficile comprendere il confine tra film e vita personale, anche in psicologia cognitiva si parla di copioni riferendosi ai ruoli che attiviamo in determinate circostanze nella nostra vita.
A volte poi, si creano situazioni e coincidenze a dir poco
sorprendenti. Spostiamoci un attimo dalla vita reale di Totò a quella
cinematografica di Chaplin.
Fin qui nulla di sorprendente. In una bellissima
gag Charlot equilibrista sul filo viene assalito da maliziose scimmiette che, un
po’ come gli scugnizzi di Totò, lo lasciano in mutande. Questo è ciò che accade quando ci appassioniamo ad artisti veri, che hanno cercato di spiegarci la vita attraverso la loro espressione artistica, gente che per lo più ha vissuto un’infanzia di sofferenza. Michael Jackson in Smooth Criminal (1988)
Come affermava Totò: Le vicende dell'infanzia non impedirono al piccolo Chaplin di apprendere proprio dalla madre l'arte del canto e della recitazione. I primi passi sul palcoscenico li mosse assieme a lei alla tenera età di cinque anni. Nel 1896 durante una recita in un teatro di varietà Hannah [3] fu sonoramente fischiata e costretta ad abbandonare il palcoscenico; a sostituirla venne mandato in scena il piccolo Charlie che ottenne un discreto successo cantando una canzone popolare dell'epoca, 'E Dunno Where 'E Are. Nel 1900, all'età di undici anni, il fratello riuscì a fargli ottenere il ruolo comico di un gatto nella pantomima Cinderella (Cenerentola), rappresentata all'ippodromo di Londra, nella quale recitava anche il famoso clown Marceline.
Nello stesso anno Sydney si imbarcò su una nave come
trombettiere: il peso della madre ricadde così sulle spalle del piccolo Charlie.
Nonostante la buona volontà, la vita era estremamente dura, Hannah fu
addirittura ricoverata in ospedale con una diagnosi di depressione causata dalla
denutrizione. Nel 1903 fu dimessa dall’ospedale ma poco tempo dopo una ricaduta
ne determinò l'internamento definitivo. Un anno dopo il quindicenne Charles fu
tra i protagonisti della fortunata rappresentazione del Peter Pan di James
Matthew Barrie. La sua storia è nota a tutti e, proprio giocando con queste parole nel 1995 realizzò HIStory [4] , un doppio cd formato sia da inediti che da classici del suo repertorio. E il segreto della sua storia era nascosto non tra i brani classici, ma nell’inedito Childhood. Le parole del testo descrivono il suo passato, rimasto presente e indelebile e rappresentato in un suo disegno, riproponendo un immagine di un Chaplin indifeso da lui stesso interpretato. Nel testo, infatti canta: Avete visto la mia infanzia? sto cercando il mondo dal quale provengo perché è un po’ che cerco tra gli oggetti smarriti del mio cuore, nessuno mi capisce pensano che siano stranezze eccentriche... perché continuo a scherzare come un bambino, ma scusate se... la gente dice che non sono a posto perché mi piacciono cose semplici... sono stato costretto a compensare per l'infanzia che non ho mai avuto...
Disegno di Michael Jackson, inserito nel cd singolo di “Scream” (1995) L’infanzia, soprattutto se sofferta lascia sempre un’impronta e cerca soddisfacimento da adulto, riproponendosi costantemente, ricreando gli stessi contesti, in attesa che il copione si ripeta, ma con un finale differente. Come disse Liliana De Curtis: Le lacrime versate durante l’infanzia lasciarono una ferita aperta nel cuore di mio padre, una struggente nostalgia per quella stagione della vita che gli era stata negata.
«Sono stato un bambino povero con la voglia inappagata degli agi che non mi potevo permettere» confessava Totò.
«Non so come, ma quel bambino è rimasto dentro di me: me lo porto appresso come un amico invisibile e mi diverto a regalargli ogni ben di Dio, vestiti eleganti, profumi e oggetti raffinati.
Io
spenderei ogni mio avere pur di rimanere piccolo: al massimo vorrei avere sette
anni» [1] .
Michael Jackson nei panni di Chaplin Gli artisti a noi cari riuscirono sublimando e con umorismo a creare delle opere d’arte, frutto di quell’energia ancora presente e investita in qualcosa di spettacolare, quasi a voler comunicare al mondo intero la conquista di un qualcosa che sembrava irrimediabilmente perduto. Il regista russo Sergej Ejzenstejn descrivendo Chaplin affermava che: “…nonostante i suoi capelli bianchi, ha conservato uno sguardo di bambino e la capacità di considerare al primo livello il minimo avvenimento. Di qui la sua libertà nei confronti dello sguardo moralizzatore (gli occhi della morale o gli occhi del censore) e la sua capacità di vedere sotto un aspetto comico cose di fronte alle quali altri rabbrividiscono. Questa capacità è chiamata, in un uomo adulto, infantilismo. Pertanto, il comico chapliniano è costruito per principio su un procedimento infantile”. E vedere tutto dal punto di vista del bambino, per il regista russo significa anche giocare ed essere liberi. Ejzenstejn riporta un saggio [9] del professor Overstritt: “Amare il gioco ed il divertimento significa, in una certa misura, che si è anche liberi. Se un uomo è giocherellone, vuol dire che per un momento scuote il peso delle convenzioni e si sottrae alle costrizioni del quotidiano (…).
La vita non è che un susseguirsi
di restrizioni. Nel gioco siamo liberi! Facciamo quello che ci piace. E,
indubbiamente, non potrebbe esserci per l’uomo sogno più bello di quello di
essere libero. Ne consegue che riconoscere a qualcuno senso dell’umorismo
significa riconoscergli al contempo capacità di giocare, cosa che a sua volta
prova che egli ha spirito di libertà e spontaneità creativa” [5].
Il bambino
genuino e vivo che è in lui riesce a coinvolgere grandi registi come John Landis,
l’autore di Thriller e di Black or White, che proprio nei making dei rispettivi
video lo si vede giocare con il cantante prendendosi addirittura delle torte in
faccia alla Stanlio e Ollio, grazie alla compartecipazione di Macaulay Culkin
[8] .
La vicinanza tra Totò e Chaplin, anche cronologica è molto
evidente, diversamente però si può dire degli attori e della musicalità dei loro
gesti.
Totò robot/dancing machine: http://www.youtube.com/watch?v=Mj71HPMSOsY Il cappello In un articolo giocoso, in onore all’infanzia, non si poteva non considerare la risposta del bambino, del bambino che è in ognuno di noi che vede la comunanza degli artisti “semplicemente” in un cappello.
Forse
è più l’attestazione dell’elevazione a status, della conferma che “signori si
nasce”, è il simbolo, appunto di una dignità che nessun sistema politico ed
economico può togliere, tutti possono indossarlo ma non tutti sono in grado di
tenerlo con la stessa eleganza, un’eleganza che rappresenta la nostra dignità,
la differenza tra chi può realmente indossarlo e chi no. Un detto palermitano
cita: “il cappello ai porci non lo si può mettere”.
Michael Jackson HIStory tour 1997 E sul simbolismo del cappello ancora una volta il cinema ci porta a Totò, al film “Miracolo a Milano” di Vittorio de Sica del 1951. In un saggio [di pubblicazione recente si parla del personaggio principale del film, Totò, che uscito dall’orfanotrofio in cui ha trascorso l’infanzia viene a contatto con due situazioni opposte: uomini e donne dell’alta società che escono dal Teatro alla Scala e i barboni della città. Il potere simbolico del cappello si affaccia sulla storia del film attraverso la presentazione di alcune figure che non accettano la propria condizione e cercano di distinguersi dagli altri poveri, come nel caso di una signora che si presenta con fare altezzoso usando un ombrellino bucherellato come se fosse un bastone e che cerca, nei modi e nel vestiario (un cappellino ed una sciarpetta logori), di attribuirsi uno status superiore a quello reale. Qualcosa di simile avviene anche rispetto al personaggio di Rappi, barbone scontroso che cerca di darsi un tono superiore a quello degli altri, che significativamente chiama “Straccioni”, tramite l’atteggiamento, il cappotto e la sua bombetta lisa.
L’incanto e la “sacralità” generati dall’abbigliamento del personaggio si rompono però all’ingresso della baracca in cui Rappi vive, il cilindro infatti è troppo alto rispetto alla porta e cade a terra.
A questo punto il silenzio generale si tramuta in una fragorosa
risata, come se la caduta del cappello avesse spezzato la magia generata
dall’abito di lusso ed avesse riportato alla realtà il barbone che si era
travestito da signore e, grazie al potere simbolico dell’abito, per un momento
lo era diventato agli occhi degli altri.
Totò-robot nella rivista che chiude la grande serie Totò – Galdieri: Bada che ti mangio! (1949)
Anche Chaplin la dice lunga con i suoi abiti e la sua
bombetta. Descrivendo il suo personaggio, nel film Luci della città del 1931
egli afferma: “All'inizio Charlot simboleggiava un gagà londinese finito sul
lastrico (…) lo consideravo soltanto una figura satirica. Nella mia mente, i
suoi indescrivibili pantaloni rappresentavano una rivolta contro le convenzioni,
i suoi baffi la vanità dell'uomo, il cappello e il bastone erano tentativi di dignità, e i suoi scarponi gli impedimenti che lo intralciavano sempre”.
Sulla base di questo contesto il cappello a cilindro nel film diventa il simbolo dello status da raggiungere ma insieme anche degli effetti negativi della ricerca del superfluo per modificare agli occhi degli altri la propria identità per costruirne una, sociale, senza però cambiare realmente in meglio la propria condizione. Questo lato oscuro dell’uso sociale della moda si riassume tutto nella fuga di Rappi, inseguito da una nuvola di cilindri lungo la ferrovia dopo aver visto tutti i barboni acquisire il copricapo in cambio del quale lui li aveva traditi, vanificando il motivo scatenante della sua azione, ossia quello di distinguersi ed elevarsi rispetto agli altri. Infine, in una scena si assiste all’arresto dei barboni sottolineato dal fatto che, mentre scoprono che Totò non può più aiutarli, subiscono sulla testa i colpi dei manganelli dei poliziotti che danneggiano e umiliano il loro cappello a cilindro, simbolo principale del loro illusorio benessere [10].
Ciò che forse non è stato colto e che, secondo me, vale la pena almeno supporre, Michael di fronte ad un pubblico di attori e cantanti di colore, che riuscivano a fatica a far valere il loro talento per via dell’obnubilamento razziale dell’epoca che relegava i neri ad uno status secondario alla fine del famoso passo di danza lancia il cappello al pubblico, in segno di deferenza, di ringraziamento e di riconoscimento del valore degli altri sia presenti in sala che in altri momenti anche futuri.
Conclusioni È insostituibile la funzione che ha la comicità nell’umanità. Attraverso di essa “vediamo l’irrazionale in ciò che sembra razionale; il folle in ciò che è sensato; l’insignificante in ciò che sembra pieno d’importanza. Essa ci aiuta anche a sopravvivere preservando il nostro equilibrio mentale. Grazie all’umorismo siamo meno schiacciati dalle vicissitudini della vita. Esso attiva il nostro senso delle proporzioni e c’insegna che in un eccesso di serietà si annida sempre l’assurdo”[11] .
Sono un mezzo per dissipare il sospetto e il timore che hanno invaso il mondo di oggi. (…) Se solo potessimo scambiare tra le nazioni, e in modo intensivo, dei film che non parlino il linguaggio della propaganda aggressiva, ma invece quello della gente semplice, ebbene ciò potrebbe salvare il mondo dal disastro” [12].
Citazioni: [1] Liliana De Curtis, Totò mio padre, Rizzoli, Milano, 2002, pag.32 [2] Guarda caso è il titolo della sua opera di debutto [3] Anche la madre di Totò si chiamava Anna, solo che il nome della madre di Chaplin è compresa tra due “H”, due lettere “mute”! [4] Che vuol dire sia “Storia” che “La sua storia” [5] Sergej M. Ejzenstejn, Charlie Chaplin, SE editore, Milano 2005 [6] In Italia tradotto con “Il monello” [7] Roberto Toninelli, Tesi di laurea “L’arte comunicativa di Charlie Chaplin”, 2007 [8] il bambino di “Mamma ho perso l’aereo” [9] Di Gianluigi Zarantonello nel volume “Contraccambi, la moda, il cinema, lo sguardo”, CLEUP, Padova, 2002 [10] Di Gianluigi Zarantonello nel volume “Contraccambi, la moda, il cinema, lo sguardo”, CLEUP, Padova, 2002. [11] Charles Spencer Chaplin, Charlie Chaplin, La mia vita, Fabbri Editore, Milano 1964 – pag. 255 [12] Giorgio Cremonini, Charlie Chaplin, L’Unità/Il Castoro, Milano 1995 – pag. 7 Nota: Articolo contenuto sul sito www.antoniodecurtis.org - Autore © Salvatore Cianciabella. Collocato in rete il 27 febbraio 2010. L’articolo può essere riprodotto (stampa dal sito per uso personale o fotocopia per uso didattico) citando la fonte. Come citare questo articolo: Cianciabella S. (2010) Totò, Charles Chaplin e Michael Jackson: geni a confronto. Reperibile sul sito www.antoniodecurtis.org alla voce Voi e Totò.
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Gli articoli di Salvatore Cianciabella: La persuasione da Robert Cialdini a Totò; Totò: l'autorità nel/del cinema italiano; Totò, Charles Chaplin e Michael Jackson: geni a confronto; Toto, Charles Chaplin and Michael Jackson: genes compared. | |||||||
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