Il coraggio
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Film in B/N durata 92 min. - Incasso lire 288.300.000 (valore attuale € 7.386.363,63) Spettatori 2.025.000 Video-clip 41 sec. "Il coraggio" 1955 di Domenico Paolella. Soggetto dall'atto unico omonimo di Augusto Novelli 1913 riadattato da Antonio De Curtis. Sceneggiatura Edoardo Anton, Marcello Marchesi, Marcello Ciorciolini, Riccardo Mantoni. Produttore Isidoro Broggi e Renato Libassi per D.D.L., Direttore della fotografia Mario Fioretti, Musiche Carlo Savina, Montaggio Gisa Radicchi Levi, Sceneggiatore Piero Filippone, Direttore di produzione Alfredo De Laurentiis, Aiuto regista Mariano Laurenti. Interpreti: Totò (Gennaro Vaccariello), Gino Cervi (Aristide Paoloni), Gianna Maria Canale (l'amante di Paoloni, Ernesto Almirante (zì Salvatore), Irene Galter (figlia di Paoloni), Paola Barbara (Anna Paoloni), Gabriele Tinti (figlio di Vaccariello), Leopoldo Trieste (l'amministratore), Bruna Vecchio (la segretaria), Anna Campori (Ginevra), Sandro Pistolini (un figlio di Vaccariello). Trama: L'industriale Paoloni salva dalle acque Gennaro Vaccariello che il mattino dopo si presenta in casa con tutta la sua famiglia pretendendo di essere mantenuto visto che gli ha impedito il suicidio. Paoloni accetta suo malgrado anche perchè Gennaro lo salva da una difficile situazione finanziaria. Alla fine i due entrano in società e diventano anche consuoceri. |
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Critica: Il film è ispirato vagamente "Boudou salvato dalle acque" di Jean Renoir. Protagonisti in grande forma che si lanciano continuamente le battute fino allo scoppiettante finale. E' il primo film interamente prodotto dalla D.D.L., le riprese iniziano nel settembre del '55 negli stabilimenti Pisorno di Tirrenia, Totò scrittura personalmente l'attore Leopoldo Trieste. Il film non ebbe il successo commerciale sperato tanto che Totò lasciò la società di produzione agli altri due soci, anzi si racconta che il Principe alla fine del primo ciak pretese la consueta paga giornaliera ma dal momento che anche lui era uno dei produttori gli fu detto: "Ma Principe il film lo produciamo noi ! I soldi li avrai ai primi incassi" E Totò di rimando: "Ah, ma cosi' non mi trovo ! Sapete che vi dico? Se le cose stanno così continuate la società senza di me!". Scriveva Luigi Chiarini. " Totò è quel grande comico che tutti conosciamo, ma quanti sono i film tra decine e decine da lui interpretati che si salvano non dico sul piano dell'arte, ma almeno sul piano dell'intelligenza e della dignità? Totò ha sempre successo di pubblico perchè le sue risorse sono tali da strappare qualche risata anche con le più insulse banalità. [..] Questa volta nemmeno Totò è riuscito a superare la piattezza della sceneggiatura. Ne è venuto fuori un film scolorito e noioso [..].
Tratto
dall'atto unico di Augusto Novelli (1913) e rielaborato per il cinema da
Antonio de Curtis, il film è una gustosa commedia, con fortissime
componenti farsesche e di pochade (l'amante di Paoloni, Gianna Maria
Canale, sempre chiamata "colonnello", la cameriera complice, la fuga in
Venezuela ecc.), nel quale viene utilizzata la figura ben collaudata di
un Totò non più maschera e burattino, ma profondamente ancorato all'
interno di connotazioni umane e realistiche. Nel complesso il volto di Totò si esprime qui su due registri differenti: quello dell'estremo realismo (la scena del primo incontro in casa Paoloni è di uno straordinario e perfetto realismo psicologico, che non vuole mai raggiungere l'effetto comico) e quello della farsa giocosa (la scena in cui Gennaro Vaccariello diventa Janeiro de Vacarillos, le scene dei pranzi, l'invasione della casa, i fattorini messi tutti in fila secondo la loro statura, ecc.). Insomma un Totò insieme comico e triste, con profonde venature di malinconia che sfociano talora nell'aperto sentimentalismo all'americana (la vendita della fisarmonica sottratta al figlio piangente ) o nel puro divertimento: un clown perfetto, che dà una splendida prova di completezza recitativa. Ancora una volta il personaggio di Gennaro Vaccariello incarna antiche storie di miseria, di fame, di stenti, di sconfitte, ma anche di reazioni istintuali per non soccombere alla rassegnazione passiva, unitamente a una eccezionale fantasia per inventarsi la vita. Qui però la maschera dell'eterno perdente si trasforma in quella di chi decide di vincere a tutti i costi, sfruttando quelle occasioni paradossali che sempre la vita offre a chi le sa sfruttare. La battuta finale, molto importante ...se prendo chi mi ha dato la spinta è completamente plagiata da "Fifa e Arena", mentre per vezzo il commendator Paoloni dà il suo indirizzo con una via che a Roma non esiste, ma che però corrisponde al nome dello sceneggiatore Marcello Marchesi. Si ripropone, con minore forza, la tematica cara a Zampa: l' amministratore corrotto, gli imbrogli dei ricchi ai danni dei poveri, la lotta tra gli onesti e i disonesti che alla fine diventano soci, mentre i rispettivi figli (Gabriele Tinti e Irene Galter) si sposeranno tra loro, che già si intravedeva in "Guardie e ladri" e che sarà ripresa pari pari ne "I tartassati" (1959) e, con un quadro narrativo differente, in "'Totò, Fabrizi e i giovani d'oggi" (1959) e "Chi si ferma è perduto" (1960). Tratto da "Totò principe clown" di Ennio Bìspuri per gentile concessione |
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