Il teatro di Totò: Quisquiglie e pinzillacchere 2/3
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Sociologicamente Totò è a cavallo tra l’esperienza sottoproletariara e quella Piccolo-borghese, tra le quali, com’è noto a chi conosce Napoli, gli elementi di somiglianza sono fortissimi, e fortissimo è il tentativo piccolo-borghese di negarli per distinguersi dalla insicurezza della prima.
Ne derivano due tipi diversi di aggressività quella di chi da una condizione di precarietà assoluta tende alla soddisfazione dei bisogni primari, e di conseguenza risponde solo alla morale del bisogno; e quella di chi sente perennemente minacciata la sua minimale sicurezza da forze oscure e generiche non mai precisamente definite (lo stato, chi comanda, i « caporali », gli « altri ») e si rifà sulla plebe che lo circonda, su coloro nel novero dei quali potrebbe continuamente ricadere, e che tanto più nega quanto più li sente vicini, specchio appena passato.
In un immaginario dialogo con la maschera Totò, Antonio De Curtis le fa dire “vedrai che il pubblico alla fine ci vorrà bene, perché gli faremo patire un sacco di piacere, Disse proprio il verbo patire, quel buffone, ignorantissimo di filosofia come tutte le maschere, ma armatissimo di esperienze preziose, cioè a dire ricco di guai, di beffe subite, di appetito arretrato, esperienze che servono alla legge del contrasto comico.
In fondo senza la miseria e le disgrazie non esisterebbe Pulcinella » (il corsivo è nostro). Ma altrove spiega che « quella maschera con la bombetta e i calzoni larghi » è « la rappresentazione comica di un certo piccolo borghese italiano, timido, aggressivo, pauroso e alla fine ridicolo ».
Due poli, insomma, che s’intrecciano perennemente nella stessa coscienza dell’attore, e che trovano il loro sapore, e un così lungo risultato di affetto del pubblico, proprio in quest’intreccio di frustrazioni subite e comuni, e di rivendicazioni e vendette dispettose e vigliacche;
con la differenza che mentre l’aggressività del Totò Pulcinefla affamato è in qualche modo esaltata dal pubblico popolare come propria, quella del Totò ridicolo e Piccolo-borghese è vissuta come identificazione ambigua, vendicativa di tutti e cattiva, ma insieme Positiva e negativa, perchè il piccolo-borghese vi è anche caricaturato, visto nei suoi aspetti deteriori. |
E tuttavia questo complesso rapporto che Totò (la maschera Totò) stabilisce col ‘suo pubblico, è ancora solo parzialmente del Totò di rivista, del Totò di « prima del ‘45 ». Lo spazio di Totò è qui pretestuoso: serve a valorizzare e focalizzare le possibilità dell’attore dentro i canovacci della tradizione e dentro quelli che, mediando a casaccio, il Totò autore gli va fornendo: pescandoli da altri avanspettacoli e da altre riviste, dalle parodie del cinema di successo, dalla straordinaria capacità di sdoppiamento e travestimento che è propria di Totò.
Si tratta sempre, comunque, di pretesti, di canovacci, di soggetti. Ha detto Totò che « per il vero comico il copione non deve contare nulla » (ed è riuscito a improvvisare anche nel cinema). ll modo di leggere gli sketch che abbiamo ripescato, è quello di supplire con l’immaginazione stimolata dal ricordo del Totò visto e amato alle frustranti lacune di testi non fatti per la lettura. Quante volte compare in questi sketch la parentesi con la magica e distante parola « soggetto »!
Senza contare le volte in cui non compare ma in cui s’immagina dovrebbe comparire poiché, dato il pretesto, non è pensabile che Totò non lo spezzasse con improvvisazioni continue.
In un suo testo, d’altronde, egli cita « i tipi del maestro di musica Mardocheo Stonatelli, del bigotto che prega convulsamente (nella farsa (La camera affittata per tre), del bigotto che segue con una candela in mano la processione (come bis nei finali di molte riviste), del miope che legge il giornale (nella rivista Tra moglie e marito, la suocera e il dito), dell’uomo che incontra per la prima volta una bella donna e la scruta attentamente dai piedi al viso (nella rivista Dei due chi sarà?), dell’uomo volitivo e abbondantemente provvisto di mascella romana (nella rivista Quando meno te l’aspetti), del burocrate addetto ai timbri (nella rivista Orlando Curioso) »; ma quanti altri ancora? Grazie al cinema, questi « tipi » sono rimasti, e li ritroviamo intatti, in altre vicende, ma ricchi della loro forza originaria benché appena offuscata dalla minore agilità fisica dell’attore, e continuano a deliziarci.
I bisticci e gli imbrogli, non tutti originali, lasciano peraltro anch’essi un margine di imprecisione, perché anche sul piano verbale Totò era un grande improvvisatore. Ma nonostante l’inadeguatezza di un Totò letto su un Totò visto e sentito, pure questi copioni sono ricchi di insegnamento, e di comicità; e i loro intrecci finiscono per indicare il che di diverso nel modo di esser comico di Totò rispetto al suo tempo. E, ovviamente, per illuminare alcune delle evoluzioni future, quasi dimensionamenti a contatto del reale di una maschera che sino al dopoguerra si è servita anche del reale come pretesto. Napoli 1976 Quisquiglie e pinzillacchere "Il teatro di Totò" Goffredo Fofi (Savelli editore)
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