Nella
versione cinematografica di “Napoli milionaria!”,
diretta, sceneggiata e interpretata dallo stesso
Eduardo De Filippo nel 1951, molti sono i
cambiamenti e le inserzioni al testo teatrale originario, ma il più noto e a
tutti ben presente riguarda proprio la lunga scena che chiude il primo atto.
Nell’adattamento cinematografico Eduardo spezza in due la parte di Gennaro,
inventando di sana pianta un alter ego, Pasqualino Miele, che oltre a dare lo
spazio ad un “cammeo” del grande attore partenopeo Antonio De Curtis, in arte
Totò (quasi imposto dal produttore Dino De Laurentis), permette all’Autore di
dipanare meglio e con maggior dovizie di particolari le proprie idee sulla
società.
Dunque ad apertura del film si vedranno i due amici, Gennaro e Pasqualino,
ambedue tranvieri , e poi nello svolgimento della trama, al momento della
necessità del “morto” si ricorrerà a Pasqualino che, come dice lo stesso
personaggio, è diventato ”un cavallo che si affitta”; cioè non avendo altro modo
per sopravvivere “aiuta ad ingannare la legge” per altri che sono meno bravi di
lui a fingere.
Eduardo Autore sfrutterà questo “sdoppiamento” per far si che al termine della
scena il brigadiere Ciappa, magistralmente interpretato da un terzo grande
attore, Arnaldo Ninchi, pur mantenendo la parola, non arresti Pasqualino, che è
stato perfetto nel ruolo, ma bensì Gennaro, padrone della casa dove si fa “la
borsanera”.
Già vedere Gennaro, a teatro, con una larga fascia che gli chiude il volto a mo’
di uovo di pasqua, con tanto di cocche annodate in alto, mette a dura prova la
voglia di ridere di uno spettatore.
Gennaro prosegue, infilandosi sotto le lenzuola di un letto i cui materassi,
rigonfi di merce illecita, fanno temere quasi uno scoppio, e anche qui non
ridere è difficile.
Ma la trasformazione “mortuaria” a cui la scena è stata velocemente condotta da
Amalia e Maria Rosaria, permette allo spettatore di mantenersi serio.
Alle finte monache, che si abbigliano sotto gli occhi degli increduli
spettatori, fa da contraltare la preghiera pronunciata da Adelaide, con sonorità
solenni, verosimile nelle parole ambigue e allusive, che ritma tutta la scena.
L’armonia dell’insieme avrà un punto di frattura col suono della sirena, il
“segno di clemenza” ostinatamente, ambiguamente e ripetutamente invocato da
Adelaide nelle sue litanie, che cala di botto tutti nelle verità bellica.
Ma dopo l’iniziale fuggi fuggi dei più infingardi, che rassicura, se mai ne
avesse bisogno, Ciappa, la scena riprende con un ritmo più sommesso e serrato.
Ciappa parla e si risponde, sa che Gennaro è vivo ma deve ostinarsi a fare il
morto. E’col suo silenzio che Gennaro/Pasqualino induce Ciappa all’epilogo della
scena, la promessa di non arrestarlo e soprattutto di non fare la perquisizione.
Le due scene, quella teatrale e quella cinematografica differiscono nella
tecnica, che permette i primi piani del dialogo tra Ciappa e il finto morto,
altamente suggestivi e che evidenziano al massimo le grandi capacità recitative
di Totò.Nel contempo permette all’Autore del testo di offrire una variante più
vera del vero, perché Ciappa nel film denota un comportamento che ci ricorda
addirittura un monito dantesco. “ Tu non credevi che io loico fossi!”
Infatti il Brigadiere, dopo la promessa, scindendo ruolo e interprete
nell’accoppiata Gennaro/Pasqualino, applaude quest’ultimo e arresta Gennaro,
titolare del ruolo di capofamiglia.
Se Eduardo Autore, Regista e Attore, sulle tavole del palcoscenico ci ha fornito
un punto inarrivabile della sua Arte, la scena del film ha immortalato per
sempre quanto un testo di valore possa aumentare la sua forza grazie ad un
interprete “altro”.
Su questo specifico ruolo Ennio Flaiano disse di
Totò: ”è finalmente attore calmo…mai farsesco e prepotente.” e Mario Landi: “non
è più una marionetta ma un personaggio”.
Firenze 12 Dicembre 2010 Emanuela Catalano
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