Fra i tanti amatori di
Antonio De Curtis è da menzionare il giovane scrittore Vincenzo Peluso. Sin da
piccolo ha coltivato ideali che si ispirano alla fonte inesauribile del grande
personaggio del cinema Italiano. Secondo lo scrittore, Totò è un personaggio
fantastico che appartiene ad un mondo irreale, fatto di sogni, di emozioni, di
risate, di celluloide.
Entrando nel vivo del racconto il personaggio si imbatte
nei problemi della vita quotidiana, affrontandoli con spirito diverso dagli
altri poiché è consapevole che qualcosa possa cambiare. Quale può essere la base
di un cambiamento, il principio che regola il meccanismo? Totò appare
improvvisamente per lanciare un messaggio chiaro e determinante.
Ma la
domanda fondamentale da porsi è questa: è possibile un Principe De Curtis in
questa società? Nel romanzo si cerca di dare una risposta, esaltando la figura
carismatica di Totò, piena di insegnamenti e di vitalità, vista come una guida,
un tutore o un angelo custode che può essere di esempio e aiuto ancora oggi nel
2014 ai giovani nei momenti di bisogno e di difficoltà e in preda alla vita
frenetica, cibernetica e piena di disagi.
Nel curriculum dell’autore
si registrano diverse pubblicazioni giovanili su diversi giornali locali
riconosciuti tra cui “Albatros”, “l’Impegno” e “Obiettivo Saviano” che nel 2007
ha pubblicato un suo articolo redatto per celebrare il 40° Anniversario della
morte di Totò. Con il suo ultimo lavoro, dal titolo “Ho sonno”, ha
partecipato ad un concorso per giovani scrittori indetto dalla Casa Editrice
“Leonida”.
Il romanzo ha ricevuto consensi e apprezzamenti dalla critica
letteraria ed è stato premiato con la pubblicazione offerta dalla Casa Editrice,
senza alcun corrispettivo economico dovuto dall’autore.
Il Libro, che ha
riscosso notevole successo, è un testo di narrativa di 72 pagine e viene
arricchito dalla grafica di copertina del Prof. Pasquale Iannucci e dalla
prefazione del Dott. Antonio Mastroianni.
Prefazione di Antonio Mastroianni
Che cosa può cementare una vera e
sincera amicizia? Bella domanda mi direte... Beh, posso solamente dirvi che
quella tra me e il mio carissimo amico è cementata dalla grandissima passione
per il Principe De Curtis, in arte Totò. Non c’è momento che non si passi a
discutere del nostro grande e unico mito, quanti aneddoti, curiosità da
raccontare.
Ogni volta restiamo affascinati da quanto si possa ancora scoprire e
trovare su Totò, un’intervista, una foto, un filmato inedito, una notizia.
Eppure continuiamo a chiederci cosa c’è che rende unico e fantastico questo
grandissimo personaggio. Ho usato l’aggettivo “fantastico” perché, a mio parere,
Totò non è umano, non lo si può banalmente definire tale.
Egli appartiene a un
mondo irreale, fatto di sogni, di emozioni, di risate, di celluloide, un mondo
forse fittizio eppure così reale agli occhi di noi tutti suoi ammiratori e
spettatori. Non è possibile trovare un’altra figura così carismatica, piena
d’insegnamenti e di vitalità che possa essere un esempio ancora oggi, nel 2014,
dove siamo tutti preda di una vita frenetica, cibernetica, piena di twitter e
post sulle bacheche virtuali. In questo mondo un Totò può essere ancora
possibile? Credo di sì.
Nel romanzo è evidente la ricerca
di una figura chiave, di una guida, una sorta di secondo padre, di tutore oppure
di angelo custode, che con un suo sorriso benevolo ci possa dare una mano nei
momenti di difficoltà, ancorato in un passato quasi mitico, irraggiungibile e
allo stesso tempo così reale e tangibile. Oggi più che mai abbiamo bisogno di
qualche “padre nobile” che ci possa far dimenticare la paura di un obiettivo da
raggiungere, a causa magari di una strada tortuosa e impervia.
È bello avere
qualcuno come il Principe che possa interloquire con noi. Si dirà che Totò è
ormai scomparso da oltre quarant’anni, è vero, i suoi insegnamenti però saranno
sempre vivi e ritrasmessi tra quelli che l’hanno amato e apprezzato, sia
quand’egli era in vita che riscoprendolo dopo la sua morte.
Nell’opera vengono citati alcuni
film del grande (e a volte sottovalutato in vita) artista, tra questi vi sono
Totò e Peppino divisi a Berlino e 47 morto che parla, due tra i più grandi
successi cinematografici dcl Principe. In essi è possibile cogliervi un
messaggio di forte amicizia e fratellanza (nel primo) e di timore e rispetto,
quasi di ossequiosa riverenza verso la morte, giudice unica e imparziale del
genere umano. Nel primo film vediamo come la costruzione del muro di Berlino
venga presa sapientemente a pretesto per una storia che vede protagonisti Totò e
Peppino De Filippo, una delle più straordinarie coppie del cinema italiano (a
detta anche del grande regista Lucio Fulci).
In esso vediamo mille peripezie
affrontate da Totò, spinto da un sogno a voler emigrare in Germania per compiere
una missione speciale, trovare Peppino e fraternizzare con lui, quasi contro
voglia di quest’ultimo. Personalmente ci vedo la forza e il coraggio dell’uomo
che decide d’intraprendere un’impresa coraggiosa, allo scopo del conseguimento
di un bene maggiore, mettendo in gioco tutto se stesso, senza un lieto fine
sicuro (come poi avverrà nel film in qualche modo). Nel secondo film vediamo
Totò nei panni di un moderno avaro di molièriana memoria o se preferite un
moderno Ebenezer Scrooge di Charles Dickens nel Canto di Natale.
In esso vediamo
la perdizione (in questo caso a tratti comica) del protagonista, il quale
neanche di fronte alla morte sembra redimersi, per poi cambiare idea di fronte
ai molteplici incontri (farseschi e irreali) con essa. Il protagonista Totò,
preso dal grande rispetto verso questo giudice implacabile, decide di modificare
il suo atteggiamento nei confronti del prossimo, arriva quindi il pentimento
(proprio come nel Canto di Natale) e la volontà di donarsi al prossimo,
rimettendosi sulla retta via della bontà e della compassione verso il prossimo.
Questi sono due grandi
insegnamenti, dei quali si dovrebbe tener conto nella vita di tutti i giorni.
Alcuni potrebbero ritenere banali queste raccomandazioni, eppure ritengo che non
vadano considerate come semplici idee prese da filmetti di cassetta; il
significato di queste opere è molto più profondo e complesso. Questa è la
grandezza di Totò oggi, colui che è ancora in grado di farci sognare e di
sorprenderci, regalandoci una voce, una finestra su un mondo letterario e umano
che oggi stentiamo a ritrovare.
Introduzione dell’autore Vincenzo Peluso
Non ho mai provato tanto desiderio
di scrivere fino a quando mi sono dibattuto in questo tema. Il motivo di cotanta
abnegazione va ricercato nella riflessione che opero quotidianamente sulla
realtà circostante.
La vita offre spunti interessanti,
considerazioni di carattere introspettivo e retrospettivo in cui la personalità
individuale si rispecchia nella problematicità collettiva e cerca di adeguarsi
alle esigenze, ai bisogni esistenziali. Potremmo parlare di tacito accordo tra
le parti o meglio di comunanza di intenti perché l’obiettivo è il raggiungimento
della stabilità. La nostra esistenza dovrebbe essere estesa in maniera tale da
poter offrire infinite possibilità di consolidamento, di stabilità, di crescita
individuale e donare la capacità di spontanea propagazione di idee da un
individuo all’altro.
La ricerca non produce effetti se
ci imbattiamo nella società contemporanea costruita, ahimè, sull’eccessivo
ostruzionismo, sulle sporadiche libertà di scelta ma soprattutto sulla
restrizione coscienziosa e morale. L’individuo si trova a contatto con una
società priva di dinamismo, intenta a stabilizzarsi sulla precarietà, ad
adattarsi senza pretendere un cambiamento e non curandosi di cercare il modo
migliore di convivenza.
E come trovarsi in un sonno
profondo, al di fuori della realtà, in cui le immagini hanno un valore meramente
simbolico, lo spazio sembra non mutare la sua forma: il motivo esistenziale
ruota attorno a un sistema mai turbinoso e sempre fermo, immobile su se stesso.
Il sonno domina la nostra realtà, accompagna le nostre giornate, spesso ha
potere decisionale dinanzi a forme di sviluppo sociale, tendendo a
immobilizzarle, a piegarle per lasciar spazio al falso lassismo e a un’idea di
innovazione priva del senso materno e genuino.
Il sonno come sopravvivenza
quotidiana, come necessità, come condizione temporanea che, in cerca di un
risveglio, si accontenta del suo stato, vuole che quel qualcosa possa cambiare
ma in cuor suo la speranza non ha mai trovato un’affermazione sistematica. Si
potrebbe spiegare meglio dicendo che l’uomo vinto dal sonno vorrebbe svegliarsi
ma la sua speranza è quella di continuare a dormire senza che il suo stato venga
travolto da cambiamenti improvvisi.
Più che di adattamento si potrebbe
parlare di piacevole convivenza.
Mi viene in mente Italo Svevo
intento a raccontare l’inettitudine dei suoi personaggi dominati da un sonno
continuo della vita che, tentando di svegliarsi, ossia di reagire alla vita
stessa, finiscono per scontrarsi e avere un risveglio brusco, improvviso, tale
da arrecare ulteriori turbamenti.
Ma pensiamo a un giovane della
nostra società e al programma della sua giornata: si sveglia, si riprende dal
sonno della notte e tenta di costruire il senso della stessa. Il dinamismo che
lo accompagna è solo relativo perché è in attesa di una modifica del suo stato
che difficilmente avverrà.
In attesa ditale stravolgimento, l’uomo si trova ad
affrontare qualsiasi impegno della vita servendosi di una buona dose di volontà
ma sempre connessa alla staticità imperante dell’esistenza, comunemente generata
dalla società contemporanea, sospesa tra il vecchio e il nuovo, priva di
dinamismo, carente di plurime possibilità e ancora fondata sui vecchi costumi e
le mentalità retrograde e improduttive.
Ma chi è Josh? Josh è un
giovane che ha capito come funziona questo meccanismo (privo di senso ma
omogeneo e diffuso capillarmente) ma ha l’obbligo di adattarsi per evitare
l’annullamento, la superficialità dei pensieri altrui. Josh frequentava
l’università e ancora non capiva il senso del suo lavoro e del suo cammino,
doveva solo portare a termine un percorso perché era stato vivamente sollecitato
dalle pressanti richieste provenienti da tutte le parti. Terminato il lavoro,
Josh si immerge in una realtà nuova e piena di insidie, cinica e pronta a
costruire lotte per la sopravvivenza, guerre tra poveri senza possibilità di
rivincita.
Collocato all’interno di un vortice
distruttivo, il giovane docente è ora pronto a lottare contro il sonno, contro
il dipanarsi della società, a costruirsi un piccolo spazio da contendere al
sadismo e all’indifferenza dei poteri forti, pronti a essere sopraffatti
dall’ennesimo cambiamento e reagendo con l’ennesimo sbadiglio. Ma Josh sa che il
sonno è allontanamento e spesso questo sistema è utilizzato appositamente per
evitare le prediche di suo padre e per distaccarsi con la mente dai problemi
quotidiani, tuffandosi in soavi ma celeri intervalli di riposo.
Come si può spiegare un
comportamento del genere da parte di Josh se non giustificandolo con la presenza
di Antonio De Curtis? Totò, superiorem non recognoscens, interviene come per
bloccare, interrompere bruscamente il processo di evoluzione mentale
dell’ingenuo insegnante, oramai eccessivamente consapevole del meccanismo
sociale. Il Principe sa bene cosa stia provando Josh: anche lui ha dovuto
adattarsi in qualsiasi circostanza, combattendo spesso contro il suo impeto.
Mi ha colpito
Mario Monicelli,
famoso regista di alcuni celeberrimi film di Totò, poiché durante un’intervista
dedicata alla figura di Antonio De Curtis, rilasciò una significativa
considerazione: «Totò era una maschera ed è paragonabile solo ai grandi come
Chaplin, Keaton e i fratelli Marx. Ma noi che l’abbiamo diretto gli affidavamo
parti troppo “umane” e lui finiva così per perdere inevitabilmente quella
comicità surreale e astratta che era riuscito a sprigionare al massimo quando
faceva la rivista e I’avanspettacolo.» Ma Totò volava allo stesso tempo (secondo
Goffredo Fofi) verso altri spazi ed era più fedele alle comuni radici. Per
Fellini Totò era «un fatto naturale, un gatto, un pipistrello», qualcosa di
compiuto in se stesso che è come è, che non cambiare, tutt’al più puoi
fotografarlo. È uno di quei prodotti sacri che vanno tramandati come sono,
stando bene attenti a non alterarli.
Il Principe frena l’impeto del
giovane docente che vuole vincere una guerra persa in partenza senza vantare
fasi preparatorie. Nonostante tutto Josh sa di trovarsi davanti a un uomo che ha
saputo raccontare la società in maniera sana, senza posizioni privilegiate,
sempre dalla parte dei più deboli e pronto in qualsiasi momento ad adattarsi per
amore del suo lavoro e consapevole della sua missione. Per questo motivo Josh
deve accettare i suoi consigli, trovare un sereno compromesso e seguire la
persona che gli vuole tanto bene, anche a costo di sbagliare.
Sarà contento l’ostinato
professore? Egli stesso è consapevole che qualcosa è ancora insoluto e forse lo
sarà per molto tempo, sino a quando non avrà percepito l’autentico significato.
Del resto sappiamo che non tutto può essere risolto armoniosamente; c’è sempre
un fatto in sospeso, un evento non ripetuto collocatosi lontano dal mondo delle
sane speranze, in un vuoto riempito solo con la sua presenza. Tutto questo è
normale per Josh ma non per tutti.
Basti pensare che in ogni casa c’è
sempre una finestra che non viene mai spalancata, una porta che resta sempre
chiusa: ci si è mai chiesti il motivo? In casa nostra non vi è un motivo mentre
lo ricerchiamo in abitazioni altrui. Questo è il nostro atteggiamento:chiuso in
noi stessi ma aperto al cospetto di altre conoscenze.
La vita riserva sorprese nel
momento in cui annulla la staticità (l’appianarsi di un sistema che stenta a
evolversi) e si proietta verso innovazioni; in realtà tende solo a emulare il
vecchio, quello che già ebbe un senso. Per questo la Storia è affascinante,
racconta la vita di allora ponendoci a contatto con la contemporaneità degli
eventi. Il nuovo subentra solo in casi eccezionali, accostandosi al vecchio:
Josh ha scoperto il nuovo nel suo meraviglioso sogno ma all’improvviso il nuovo
si è immerso nel vecchio, disperdendo il concentrato nel mare infinito della
nostra esistenza, testimoniata dal risveglio improvviso.
Ciò che resta è la consapevolezza
della propria evoluzione.
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