Operazione San Gennaro
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Film a colori durata 100 min. - Incasso Lit. 1.542.000.000 (Valore attuale € 19.682.889,46) - Spettatori 5.407.490 Video-clip 41 sec. "Operazione San Gennaro" 1966 di Dino Risi. Soggetto Dino Risi, Ennio De Concini; sceneggiatura Adriano Baracco, Dino Risi, Nino Manfredi; Produttore Turi Vasile per Ultra Film (Roma), Lyre Film (Parigi), Roxy Film (Monaco) in eastmacolor, Direttore della Fotografia Aldo Tonti, Musiche Armando Trovajoli, Montaggio Franco Fraticelli, Sceneggiatore Luigi Scaccianoce, Direttore di Produzione Danilo Marciani, Aiuto Regista Nanni Fabbri e Tony Tounsy. Interpreti: Totò (Don Vincenzo 'o Fenomeno), Nino Manfredi (Dudù), Senta Berger (Maggie), Mario Adorf (Sciascillo), Harry Guardino (Jack), Pinuccio Ardia (il barone), Vittoria Crispo (madre di Dudù), Claudine Auger (Assuntina), Ugo Fangareggi (Agonia), Dante Maggio (il capitano), Ralph Wolter (Frank), Giovanni Druti (il cardinale), Solvi Stubing (una suora) Trama: Tre furfanti, Jack, Maggie, Frank, vengono a Napoli con il proposito di rubare il tesoro di San Gennaro. Tramite Dudù, un piccolo guappo, si rivolgono a don Vincenzo (Totò), riverito ed ammirato carcerato chiamato 'O fenomeno, il quale suggerisce di domandarlo direttamente al Santo. Il guappo si reca in Duomo e promette al Santo che il tesoro resterà a Napoli e servirà a rendere migliore la vita ai poveracci. La banda prepara il colpo e quando finalmente riescono a mettere le mani sul tesoro, interviene Maggie, che travestita da suora, fugge a prendere l'aereo. Dudù la raggiunge all'aeroporto, riesce a recuperare il tesoro e senza volerlo lo depone nella macchina dell'arcivescovo di Napoli. Quando torna in città è accolto come il salvatore dei gioielli che vengono restituiti al Santo. |
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Critica: Il regista Dino Risi si esprime con spontanea freschezza. Tale, benché milanese, da mostrare d'aver assorbito i valori di una Napoli dove il colore e lo strepito esaltano la verità umana. Gli attori sono spassosi e più ancora le macchiette fra le quali giganteggia ovviamente Totò. Il Corriere della Sera, Milano 26 novembre 1966.
Le canzoni presentate al festival di Napoli dell'anno cui si riferisce il film (1966) che è possibile ascoltare come sottofondo in alcune scene sono: Ma pecché, cantata da Iva Zanicchi; Ce vo' tiempo, cantata da Peppino Di Capri; 'A pizza, cantata da Aurelio Fierro.
Il film è un'evidente parodia di "Sette uomini d'oro", di Marco Vicario, uscito nel 1965 e si lega anche con "I soliti ignoti" (nello scenario di una Napoli pittoresca e un po' di maniera al posto di una Roma pacioccona e sonnolenta), non solo per il catalogo pressoché identico dei componenti della sgangherata banda, ma anche proprio per l'utilizzazione di Totò in un ruolo marginale in entrambi i film (Dante Cruciani nel primo e Don Vincenzo 'o fenomeno in questo.
Il tutto in una Napoli fotografata nelle sue innumerevoli e variopinte caratteristiche, che la rendono gustosa e divertente, anche se un po' di maniera, ma volutamente di maniera, come il tassista che manipola il tassametro e recupera il sigaro buttato via acceso dall'americano, lo sconosciuto che offre alla bellissima Senta Berger il suo biglietto da visita con su scritto "amatore".
Dudù che fa fumare il Vesuvio per truffare i turisti, il funerale che si ferma perché il becchino deve scendere improvvisamente, l'interruzione del colpo perché Dudù deve andare a un matrimonio, il sole che entra nella cattedrale, subito interpretato come un segno d'assenso di San Gennaro, la zeppa al contatore per truffare la compagnia elettrica, i poveri diavoli che si presentano all'organizzatore del colpo per essere assunti in qualche modo, e mille e mille altre situazioni analoghe, ivi comprese le battute che hanno dietro un mondo, una filosofia, un modo di vivere che affonda le sue radici nei secoli.
In una sceneggiatura solida, arricchita di tutti i sapori possibili di una Napoli governata dalla fantasia, si inserisce il personaggio di don Vincenzo 'o fenomeno, interpretato da de Curtis, un guappo che vive in carcere come un cliente di un albergo di lusso, a cui tutti esprimono devozione e obbedienza, compreso il direttore.
Il personaggio, per la sua aria di esperto al di sopra delle parti, richiama in qualche modo il Dante Cruciani de "I soliti ignoti" e il professor Semprini di "Racconti romani", ma qui la recitazione è più caratterizzata dai tipici tratti del malandrino che può fermare un aereo e mettere in moto un'intera città per perseguire un suo fine: è cioè più autorevole rispetto alla figura impaurita de "I soliti ignoti" e a quella meschina e miserabile di "Racconti romani".
Con una recitazione tendente al carattere, ma basata su una straordinaria carica veristica, Totò compare in cinque scene: nella prima lo vediamo in carcere, maestoso, con la cravatta e il ventaglio, che con tutta la sua autorità distribuisce comandi e rimproveri; nella seconda partecipa al matrimonio della figlia con uno speciale permesso premio.
Nella terza, sul terrazzo del carcere, fornisce consigli a Dudù mentre pota dei fiori come fosse il padrone di casa; nella quarta lo vediamo in prima fila seduto a guardare alla televisione il festival della canzone napoletana; nella quinta e ultima scena telefona al responsabile dell'aeroporto per far ritardare il decollo dell'aereo per New York. Con un Nino Manfredi eccezionale, de Curtis disegna un "tipo" cui sa infondere tutta la naturalezza realistica e ironica della sua esperienza di attore di genio. <<articolo correlato: Totò visto da Nino Manfredi>> Tratto da "Totò principe clown" di Ennio Bìspuri per gentile concessione |
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